PARE ERMANNO CACCIA - IL DONO
Dono
Noi siamo tanto bravi nel
“fare”; ma questa corsa del fare ci porta a non sapere più dire, a non
riconoscersi come dono. Dobbiamo, probabilmente, accettare di fare meno
cose per vivere più vita; più in senso qualitativo, nel senso di
quella qualità della vita di cui si parla tanto. E’ solo l’accettare
questo meno, che è un più, che non ci farà rimpiangere il non fatto, ma
ci permetterà di accontentarci del vissuto che è già tanto denso,
profondo, spesso. Sta forse qui il senso della Giornata del Dono che
abbiamo ricordato con Papa Francesco lunedì in udienza a Roma.
Perché, se è vero che abbiamo tanto da fare, è vero anche che dobbiamo, prima di tutto, vivere, dare precedenza alla vita.
Non importa quello che faccio; importa come vivo: importa, attraverso
il lavoro che mi trovo al momento tra le mani, vivere la vita in tutta
la sua densità. Allora si toccano quei momenti di pienezza, in cui
pensare al dopo, al lavoro non fatto, a quello che resta da fare, non ha
senso. Si avverte di avere fatto tutto perché si tocca una dimensione
di assoluto. E’
il senso felice dell’arrivo che non si oppone al senso del cammino
perché ogni arrivo è una tappa di un’ulteriore crescita, ma anche ogni
tappa è un arrivo nel già raggiunto infi nito.
Allora il vivere, lo spendersi come dono, non è più insofferenza, fuga
da, ma reale speranza: corsa verso. E’ la dimensione del dono che può
riempire di senso tante nostre liturgie, tante nostre consacrazioni.
Noi consacriamo ogni genere di cose: battezziamo bimbi di genitori che
non si riconoscono in una appartenenza ecclesiale, comunichiamo
solennemente ragazzi per i quali la prima comunione è anche l’ultima,
impartiamo l’estrema unzione a persone in coma che hanno vissuto lontane dalla pratica
religiosa, sposiamo con grande pompa gente per cui il matrimonio è
tutto (fantasia, incoscienza, etichetta, abitudini) fuorché il segno
dell’amore di Cristo per la sua Chiesa e della Chiesa per Cristo.
Il vero sacrificio, il vero dono non è una cerimonia, ma è un fare il
sacro, cioè riempire di Dio, riempire d’amore. E tutti, grandi e
piccoli, sono responsabili di riempire il mondo d’amore, di metterlo in
azione. Comunicare, perdonare, non è il privilegio dei preti, è la
responsabilità di tutti i cristiani, che devono imparare a dividere e a
condividere.
Al di là
delle rappresentazioni che facciamo e che faremo del dono, la vera
icona per noi cristiani del dono rimane ancora lei, Maria. Tutti
protestano, ricusano, obbiettano, si sentono indegni, sono troppo
occupati o incapaci, celibi o mal maritati. Ma a voler bene guardare,
una volta una fanciulla di quindici anni ha detto: “Ebbene, eccomi, non
capisco niente, ma sta benissimo, accetto di crederci e di donarmi”. Vi
ha creduto. Ha creduto possibile che, senza far niente di
straordinario, occupandosi delle faccende più umili, pregando, amando,
soffrendo, a forza di pazienza, a forza di credere e amare, un giorno
la salvezza del mondo potesse venire da lei e che la sua casa potesse,
contenere comodamente tutti noi.
Penso che per giudicare ognuno di noi sarebbe suffi ciente disegnare
il cerchio dei suoi interessi, degli interessi che trasmettiamo e
alimentiamo nelle nostre giovani generazioni. Dove si trova Dio? Si
trova nel nostro dono, si trova al termine del nostro impegno e mai al
termine dei nostri ragionamenti, o delle mie convinzioni mentali.
Ermanno Caccia
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