AUTONOMIA!!!!! - Dal titolo V alle tasse, 10 eredità del federalismo interrotto


Iniziato con i vaccini e con l’avvio della campagna elettorale per i referendum di Lombardia e Veneto, l’autunno 2017 rispolvera la questione federalista. Un vecchio amore del dibattito italiano, rimasto appeso fra lo slancio degli anni Duemila e il riflusso centralista della crisi. Sul terreno è rimasta la più classica delle incompiute, con dieci nodi irrisolti che sono alla base del continuo inciampare dei rapporti fra Stato e autonomie: cinque riguardano le istituzioni, e altrettanti il fisco. Le istituzioni
Il primo aspetto inattuato è proprio il federalismo differenziato al centro dei referendum lombardo-veneti del 22 ottobre, e richiamato in termini più “collaborativi” (senza passare dal voto) dall’Emilia Romagna. Per l’articolo 116 della Costituzione, è possibile trasferire alle Regioni una serie di competenze, decise tramite un’intesa con il governo da ratificare in Parlamento. Con queste intese, le Regioni possono vedersi riconosciute competenze aggiuntive su materie come l’istruzione, le infrastrutture e la protezione civile, o ritagliarsi spazi in materie statali come i giudici di pace o i beni culturali. Dieci anni fa Piemonte, Lombardia e Veneto chiesero al governo Prodi-bis di avviare le trattative, ma la fine traumatica di quella legislatura archiviò il tema. Con i referendum si ricomincia da capo, perché i due quesiti chiedono esattamente il riavvio dei “negoziati”: in gioco un pacchetto di attività che potrebbe spostare dal centro alle Regioni una spesa (con coperture) da 13 miliardi di euro (17 con l’Emilia Romagna).
Per Lombardia e Veneto, il tentativo è di dare un tocco pratico all’«autonomia» proclamata nei loro Statuti. L’Autonomia vera, però, è quella riconosciuta dalla Costituzione, ed è al centro anch’essa di anni di dibattito privo di risultati.
Le due incognite nascono da un’incompiuta più grande, il Titolo V. Riscritto nel 2001 dal centrosinistra nel tentativo di intercettare il vento federalista allora in voga, il Titolo V non ha funzionato e ha prodotto la spinta contraria alla base della riforma costituzionale targata Renzi, che avrebbe voluto riportare allo Stato 20 competenze oggi condivise con i “governatori”.
La sconfitta del fronte referendario ha lasciato in mezzo alla strada anche la riforma delle Province, pensata nel 2014 per accompagnare i vecchi enti verso un’abolizione mai arrivata. Le Province sono quindi salde nella Costituzione, ma meno nei loro bilanci al centro di un eterno conflitto con il governo. Nate come ente nuovo e “strategico”, le Città metropolitane hanno condiviso la sorte delle rottamande Province, e restano praticamente ignote agli stessi cittadini.
Il fisco
L’incertezza istituzionale alimenta il caos fiscale. La grande assente è la service tax, l’imposta unica che avrebbe dovuto finanziare i comuni e misurare, con la matematica dei costi rapportati alla qualità dei servizi, la bravura di sindaci e assessori. Da tre anni, il quadro è dominato dall’accoppiata di Imu e Tasi, il paradosso delle imposte gemelle sullo stesso immobile basate sugli stessi parametri. L’ultima delega fiscale aveva previsto anche l’introduzione di un’addizionale unica, fondata sul principio che su ogni base imponibile solo un livello di governo potesse presentare il conto. Principio nobile, ma dimenticato. Sui redditi degli italiani pescano tasse lo Stato, le Regioni e i Comuni, e l’Imu finisce sia nei conti comunali sia in quelli statali. Nella service tax, la semplificazione federalista avrebbe dovuto riunire anche la teoria dei tributi minori che si sono stratificati per effetto di interventi più o meno estemporanei.
La nebbia sulle entrate ha un pendant naturale nell’opacità sulle uscite. La discussione sui costi standard è stata enciclopedica, ma i risultati finora rimangono scarsi soprattutto nel capitolo più ricco, quello regionale, dove la scelta dei benchmark è stata guidata da criteri più politici che matematici. La lunga lista degli inciampi raccontata fin qui sfocia nel fatto che l’altalena federalista ha finora mancato il proprio obiettivo di fondo, quello della cosiddetta «autonomia responsabile». L’idea era di dare ai cittadini gli strumenti per un giudizio politico consapevole, fondato sul confronto fra un fisco locale trasparente e servizi misurabili. Ma nel dare-avere attuale fra Stato ed enti locali nemmeno un docente di finanza pubblica sa davvero se il suo sindaco spende bene i soldi delle tasse locali.

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