Macché far pagare l'Ici. Alle scuole cattoliche lo Stato deve almeno sei milioni di euro
La
sentenza della Cassazione sull'Ici e altre tasse analoghe sugli
immobili che le scuole non statali dovrebbero pagare - anche se operano
in perdita, e a meno che siano gratuite per gli alunni - è un esempio
tipicamente italiano di giustizia a orologeria, come ha spiegato su
queste colonne Riccardo Cascioli. Casomai i cattolici volessero alzare
la testa e cercare di fermare la legge Cirinnà sulle unioni civili
omosessuali, si manda loro per tempo un avvertimento: non ci provate, o
vi tagliamo i viveri. Questa, però, è solo una parte della storia. Come
nella proverbiale vicenda del poveretto che, per fare dispetto alla
moglie, si taglia gli attributi, lo Stato minaccia in realtà di tagliare
i viveri a se stesso. I conti sono stati fatti già da tempo dall'Agesc,
l'Associazione dei Genitori delle Scuole Cattoliche, e non sono mai
stati smentiti: hanno ricevuto solo obiezioni deboli, che discuterò dopo
averli esposti.
Benché l'Italia patisca una grave crisi demografica
- in parte compensata dal fatto che anche i figli degli immigrati vanno
a scuola -, il suo sistema scolastico è economicamente inefficiente per
cui, diminuendo il numero di bambini, i costi anziché diminuire
aumentano. Per ogni allievo lo Stato spende in media all'anno 6.116 euro
per gli asili, 7.366 nelle elementari, 7.688 nelle medie inferiori e
8.108 nelle superiori. Il conto totale è di 58 miliardi di euro, una
delle poste principali della nostra spesa pubblica. È vero che Stato,
Regioni e Comuni danno dei modesti contributi alle scuole non statali.
Questi sono però in media di 529 euro all'anno per gli asili, 787 per le
elementari, 90 per le medie inferiori e 47 per le superiori. I dati
Agesc sono riferiti al 2012, ma da allora la situazione non è certo
migliorata. Gli studenti delle scuole paritarie non statali sono poco
più di un milione. Dedotti anche i contributi pubblici, se domani queste
scuole sparissero lo Stato dovrebbe riassorbire gli allievi nella
scuola statale. Il costo sarebbe superiore ai sei miliardi di euro, che -
in un modo o nell'altro - dovrebbero essere pagati dai contribuenti.
Agli studi dell'Agesc i nemici della libertà di educazione hanno rivolto due obiezioni.
La prima è a suo modo divertente, se si considera che proviene da
sostenitori della superiorità della scuola dello Stato su quella non
statale. Afferma che lo Stato è così inefficiente che i suoi costi
prescindono dal numero degli alunni e sono governati da altri elementi
indipendenti, quali le rivendicazioni dei sindacati e il desiderio dei
governi di accontentare la vasta platea degli insegnanti ogni volta che
le elezioni si avvicinano. Cioè il carrozzone della scuola statale costa
carissimo ai contribuenti «a prescindere», come avrebbe detto Totò. Se
si aggiungesse il milione di alunni della scuola non statale, o anche se
si sottraesse un altro milione di alunni in ipotesi emigrati
all'estero, i costi a carico dei contribuenti italiani varierebbero di
poco.
Questo ragionamento apparentemente suggestivo - e anche indicativo di come vanno le cose in Italia - è però sbagliato.
Anche ammettendo il paradosso per cui il numero degli alunni sarebbe
una variabile indipendente quanto ai costi, non è certamente una
variabile indipendente quanto alle rivendicazioni sindacali degli
insegnanti, cui l'obiezione assegna non a torto un valore decisivo. Se
all'improvviso dovessero fare fronte a un milione di studenti in più, i
già irrequieti insegnanti italiani e i loro sindacati rivendicherebbero
nuove assunzioni e aumenti di stipendio e - se è vero che il loro potere
negoziale è così grande - alla fine verosimilmente li otterrebbero, con
il conseguente aumento dei costi.
La seconda obiezione svela il disegno che sta alla base dell'operazione fiscale in corso.
Si sostiene cioè che la scuola non può essere valutata solo in base ai
costi, e che le scuole statali vanno promosse a prescindere da ogni
considerazione economica, perché quelle cattoliche sono “diplomifici”
che promuovono tutti, basta che paghino, e soprattutto indottrinano i
poveri alunni a idee retrive e bigotte che chiudono loro la mente, per
esempio rifiutando le proposte più innovative in tema di genere e
omosessualità. Per quanto riguarda i “diplomifici”, l'obiezione si
risolve in un gioco delle tre carte sulla nozione di scuola non statale.
Occorre infatti distinguere fra scuole cattoliche - più alcune
protestanti ed ebraiche - e scuole istituite da privati imprenditori a
puri fini speculativi. Le seconde sono spesso “diplomifici”, ma siccome
non sono esenti da Ici e tasse consimili dovrebbero essere escluse dal
calcolo statistico. Se parliamo delle sole scuole cattoliche, dubitare
dell'eccellenza della loro qualità sembrerà ridicolo ai genitori che le
scelgono, per non citare l'elenco lunghissimo di personalità della
cultura, della politica, dell'arte che hanno studiato dai preti o dalle
suore. Opporre studi più o meno “orientati” non smentisce questa verità
evidente.
Le scuole cattoliche indottrinano i loro allievi alla fede e alla morale cattoliche?
Se posso rispondere con un battuta, direi: purtroppo no, e da molto
tempo. Con poche e lodevole eccezioni, la stessa propaganda delle scuole
cattoliche spesso insiste assai più sull'efficienza che sui contenuti.
Qualche anno fa mi ritrovai per vicino - in un viaggio in aereo da New
York - un campione del laicismo italiano, l'onorevole Giorgio La Malfa.
Finimmo a discutere di scuole cattoliche e del perché La Malfa le
combatteva. Mi descrisse terribili scuole cattoliche dove si parla male a
ogni occasione del divorzio, dell'aborto, dei comportamenti
omosessuali, si criticano la Rivoluzione Francese e il Risorgimento e
invece della Costituzione si propongono il Catechismo e il Magistero
pontificio. Fu molto stupito quando gli obiettai, invitandolo a visitare
qualche istituto, che con rarissime eccezioni queste scuole cattoliche
esistevano solo nella sua immaginazione. L'ideologia è una brutta
bestia. Vuole fare spendere ai già spremuti contribuenti italiani più di
sei miliardi di euro senza neppure la soddisfazione di togliere di
torno qualche reazionario. Qualche politico avrà il coraggio di
spiegarlo anche in Parlamento?
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risponerò appena possibile