Gender a scuola e ddl Cirinnà. La svolta Lgbt si nasconde nei dettagli
Tempi, 18 luglio 2015
«La
legge contiene una piccola, per il momento necessaria, ipocrisia: […]
di fatto introduce il matrimonio tra cittadini dello stesso sesso, ma
senza dichiararlo esplicitamente […]. Può essere considerata una specie
di “cuscinetto”, un ponte: serve cioè a far capire che due persone dello
stesso sesso possono essere benissimo considerate una famiglia. Una
volta sperimentato che le unioni omosessuali […] sono “famiglia” […] poi
queste unioni vengono chiamate “matrimonio”, com’è accaduto in
Inghilterra o in America per intervento della Corte suprema, vengono
equiparate anche sotto il profilo nominalistico. E si risolve così
l’ipocrisia».
Bisogna
essere grati all’onorevole Paola Concia – fonte insospettabile – per
averla detta senza giri di parole, sul Foglio del 7 luglio: il ddl
Cirinnà introduce il matrimonio gay, quel che manca sarà aggiunto dai
giudici. Con analoga chiarezza in una intervista alla Repubblica del 16
ottobre 2014 il sottosegretario del governo Renzi Ivan Scalfarotto aveva
affermato che «l’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la
stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik».
Non
c’è dubbio che sia così: sono trascorsi due anni da quando la Corte
europea dei Diritti dell’uomo ha stabilito che nessun paese europeo è
obbligato a introdurre per le coppie omosessuali istituti simili al
matrimonio: se però il singolo stato provvede in tal senso, non può poi
“discriminare” queste coppie, escludendo alcune opportunità, in primis
l’adozione. È illusorio pensare che qualche minuscola operazione di
lifting al ddl Cirinnà impedisca l’equiparazione fra unioni e
matrimonio; mi riferisco in particolare all’emendamento di un gruppo di
senatori del Pd, che premette al ddl la clausola secondo cui l’unione
civile è un «istituto giuridico originario», in quanto tale diverso dal
matrimonio. Se nella sostanza tale “istituto” prevede diritti e doveri
per la coppia in analogia a quelli della famiglia fondata sul
matrimonio, lo si può chiamare come si vuole: la realtà è quella di un
matrimonio.
Identico
discorso vale per il gender a scuola: qualche ora prima della
approvazione definitiva della “buona scuola”, il Miur ha pubblicato una
circolare, la numero 4321 del 6 luglio, che in sé merita apprezzamento, e
– sempre in sé – va incontro alle esigenze espresse dal popolo delle
famiglie il 20 giugno: ribadisce infatti il consenso dei genitori al Pof
(Piano di offerta formativa), e quindi al possibile inserimento in esso
di corsi di gender, e conferma la necessità della piena informazione su
ogni tentativo di imposizione.
Occhio al “Piano straordinario”
E
tuttavia, come il demonio si nasconde nei dettagli, così le insidie si
annidano nei commi e in altre fonti normative: cosa accade, a proposito
del consenso, per quell’attività extracurriculare non contenuta nel Pof
che subentri durante l’anno, ovvero di fronte al tentativo – già
sperimentato – di introdurre l’ideologia del gender nell’attività
curriculare? Sul punto la circolare non dice nulla.
Di
più: il 7 maggio il dipartimento Pari opportunità della Presidenza del
Consiglio (quello da cui dipende il famigerato Unar), ha diffuso il
nuovo “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di
genere”. Al punto 5.2 si legge che «obiettivo prioritario» deve essere
«educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per
superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la
rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e
ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere, […] sia
attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti sia
mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa
e didattica». Con il che il gender, prima di uscire dalla finestra del
ddl “buona scuola” con la circolare del Miur, era già entrato dalla
porta col Piano d’azione grazie alla Presidenza del Consiglio,
agganciandosi proprio all’attività curriculare.
Occhi aperti, sarà lunga e difficile.
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