D.D.L. FEDELI . . . . INSEGNAMENTO DEL GENDER NELLE SCUOLE PUBBLICHE . . . . .
Analizziamo il ddl Fedeli sull'insegnamento del gender nelle scuole pubbliche
di Giovanni Lazzaretti
Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân, 27 luglio 2015
Vale
la pena di analizzare il DDL Fedeli quando l’educazione di genere
sembra ormai essersi infilata di straforo nel sistema scolastico,
attraverso il voto di fiducia sulla cosiddetta “Buona Scuola”? Vale
certamente la pena di analizzarlo.
Esaminiamolo dando innanzitutto il titolo esatto: “Introduzione
dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e
nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di
istruzione e nelle università”.
Porta
la firma di Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato; i firmatari sono
in tutto 40: 35 senatori del PD, 1 dei “Conservatori, Riformisti
Italiani”, 1 del PSI-Autonomie, 1 del gruppo Misto-SEL, 2 del gruppo
Misto.
Rileviamo
fin dal titolo che si rivolge al sistema nazionale di istruzione e alle
università: quindi tutte le scuole, anche le materne, anche le scuole
paritarie, anche le scuole paritarie cattoliche, anche le università
dove si formano i futuri formatori. Punta alle attività e ai materiali
didattici: non quindi i classici “corsi opzionali”, ma un inserimento
nel cuore della formazione curriculare.
Una premessa e sei articoli
Il DDL Fedeli è costituito da una lunga premessa di presentazione e da 6 articoli.
Art. 1 - Introduzione dell’insegnamento dell’educazione di genere
Si
parte nella maniera classica «per la realizzazione dei princìpi di
eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale
contemporanea».
Al
comma 2 si dà il primo “colpetto”: «promozione di cambiamenti nei
modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi,
costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla
differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza». La
corporeità sessuata come superficie neutra comincia a prendere
consistenza.
Art. 2 - Linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere
Il
sesso, citato all’art.1, sparisce. La citazione infatti serviva solo a
“far credere” che si parlasse dei due sessi. Da qui in poi il sesso
scompare (nei titoli non compare nemmeno) e si parla solo di genere. I
numeri parlano da soli: il sesso compare 3 volte nella premessa (+ altre
5 volte in connotazione negativa: “sessismo” e simili) e 2 volte negli
articoli del DDL; il genere compare 30 volte nella premessa, 4 volte nei
titoli, 8 volte negli articoli.
La
“parità dei sessi” è quindi il cavallo di Troia per far entrare il
gender nelle scuole. I richiami continui alle linee europee (12 volte è
citata l’Europa nella premessa) non lasciano dubbi in proposito.
Da
adesso si parla di «linee guida dell’insegnamento dell’educazione di
genere che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici
di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli
alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena
cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non
stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti
interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del
diritto all’integrità personale».
Art. 3 - Formazione e aggiornamento del personale docente e scolastico
«[…]
corsi di formazione obbligatoria […] per il personale docente e
scolastico». Indottrinamento gender obbligatorio: le organizzazioni che
fanno questo tipo di corsi sono tutte di area LGBT.
Art. 4 - Università
«Le
università provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi
di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già
esistenti, anche al fine di formare le competenze per l’insegnamento
dell’educazione di genere di cui all’articolo 1».
Formare
i formatori è l’ovvio corollario. Chi si occupa degli “studi di genere”
sono solamente gli “ideologi del gender”, e saranno i padroni
dell’Università in questo campo. Se non sei ideologizzato, come puoi
occuparti di questi studi, che non tengono conto delle due cose basilari
del sapere, ossia la realtà osservabile e la logica?
Art. 5 - Libri di testo e materiali didattici
«A
decorrere dall’anno scolastico 2015/ 2016, le istituzioni scolastiche
di ogni ordine e grado adottano libri di testo e materiali didattici
corredati dall’autodichiarazione delle case editrici che attestino il
rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione
«Pari opportunità nei libri di testo» (POLITE)».
Anche
in questo testo il genere domina e il sesso sparisce: 14 volte
“genere”, 1 volta “sessi” (ma è in una frase subordinata al concetto di
“identità di genere”). Cavallo di Troia è la frase “culture e competenze
di ambedue i generi”.
Art. 6 - Copertura finanziaria
La
copertura finanziaria non viene assicurata con nuove tasse, ma con la
«riduzione complessiva dei regimi di esenzione, esclusione e favore
fiscale, di cui all’allegato C-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98».
Minori detrazioni significa nuove tasse, ma i nostri parlamentari sono abili a giocare con le parole.
I cavalli di Troia e il vocabolario gender
Nel
DDL Fedeli i cavalli di Troia per introdurre l’ideologia gender ci sono
tutti: Pari opportunità (12 volte), Differenze (11 volte),
Discriminazione (3 volte), Violenza [contro le donne] (8 volte).
Non
si parla di “omofobia” per un motivo molto semplice: il DDL Fedeli
lavora in sinergia col DDL Scalfarotto sulla cosiddetta omofobia. Ad
esempio il DDL Fedeli non definisce la “identità di genere”, ma dà per
scontata la definizione del DDL Scalfarotto: «identità di genere: la
percezione che una persona ha di sé come uomo o donna, anche se non
corrispondente al proprio sesso biologico».
Il
vocabolario gender invade tutto il DDL Fedeli: Identità di genere (7
volte), Stereotipo, e varianti (18 volte), Decostruzione (2 volte),
Sessismo, e varianti (5 volte), Ruoli stereotipati, ruoli non
stereotipati (3 volte).
Sì,
è un DDL molto pericoloso. Introduce dall’alto un linguaggio e una
cultura che nelle scuole è già largamente presente, ma solo per “osmosi”
attraverso la mentalità gender che gli insegnanti, come tutti, bevono
da giornali e TV. Qui invece si passa all’indottrinamento obbligatorio
su linguaggi e categorie di pensiero create da una piccola minoranza
ideologizzata.
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