La flat tax al 15% taglia l’Irpef di 56,6 miliardi all’anno
Una tassa piatta del 15% accompagnata da una deduzione fissa da 3mila
euro per componente della famiglia porterebbe allo Stato 99,4 miliardi
di euro: cioè 56,6 miliardi in meno dell’Irpef di oggi.
L’indicazione arriva dal mare di tabelle diffuso ieri dal dipartimento Finanze, che permettono di aggiornare i calcoli sulla Flat Tax circolati fin qui, e basati sui numeri di qualche anno fa. Si tratta naturalmente di un calcolo di massima, perché per le cifre al centesimo occorre ricomporre i contribuenti all’interno dei nuclei famigliari (dato non presente nei numeri ministeriali) e soprattutto occorrerà capire se e come la composizione di una maggioranza in Parlamento porterà davvero al debutto italiano della Flat Tax.
L’ordine di grandezza, però, è utile a mostrare il carattere drastico del cambio di direzione che sarebbe imposto dalla tassa piatta, e soprattutto le garanzie da trovare per non far deragliare i conti pubblici del Paese. Anche nel fisco, del resto, il diavolo sta nei dettagli, che in realtà per i conti dettagli non sono. La Flat Tax è una definizione che può vestire tanti sistemi diversi, come mostra per esempio la distanza fra la proposta leghista e quella elaborata dall’Istituto Bruno Leoni, che contempla un’aliquota più alta (25%), aumenti Iva e una drastica revisione della spesa per portare tutte le caselle al loro posto. L’idea leghista spinge invece sull’effetto-crescita che sarebbe prodotto dal taglio d’imposte, e da un maxi-condono per coprirne l’avvio.
Un altro scambio fondamentale alla base di molte proposte di Flat Tax è quello fra l’addio alle «spese fiscali» (si veda la pagina a fianco) e l’introduzione di deduzioni o detrazioni fisse. Questo do ut des, oltre a rispondere alla parola d’ordine della «semplificazione» che domina tutti i progetti di tassa piatta, è determinante per disegnare la progressività e fissare la richiesta effettiva del nuovo sistema. Il tutto all’interno di una piramide dei redditi che resta molto schiacciata alla base: quasi 11,3 milioni di contribuenti Irpef (il 28% del totale) dichiara non più di 10mila euro, e rientra quindi nel possibile raggio d’azione del reddito di cittadinanza a 5 Stelle (la soglia è a 9.360 euro netti all’anno), sotto i 15mila euro sono in 18,4 milioni (il 45%) mentre solo 35.719 (meno di uno su mille) si avventurano sopra i 300mila euro.
La questione è tradotta in cifre nella tabella qui a fianco, che mostra l’imposta media effettiva pagata da ogni classe di reddito sui propri guadagni complessivi, al lordo delle successive deduzioni e detrazioni che renderebbero impossibili i confronti con le tasse piatte. Già oggi il sistema è viziato da una serie di sconti che si sono accumulati nel tempo in modo piuttosto disordinato, modificando progressivamente la «curva» dell’Irpef. La conferma arriva dai dati delle fasce di reddito più basse, con l’Irpef che chiede fino al 4,8% del reddito negli ultimissimi scalini mentre si alleggerisce all’1,1% quando si sale un po’, verso quota 7.500 euro. Da lì in su il peso dell’imposta cresce progressivamente, fino a sfiorare il 39% quando la denuncia dei redditi viaggia a 300mila euro all’anno.
Molto più dolce il decollo della Flat Tax al 15%, che nelle ipotesi del Carroccio si completa con la deduzione fissa da 3mila euro a famigliare. La progressione rimane piuttosto sensibile per i redditi più bassi, ma dai 50mila euro in su la tassa si fa «piatta» di nome e di fatto perché l’ipotesi azzera da qui in poi le deduzioni. Al crescere del reddito, quindi, crescerebbero in modo lineare anche i benefici rispetto a oggi (i calcoli si riferiscono sempre al contribuente singolo). A 300mila euro, il conto effettivo scenderebbe dal 38,9 appunto al 15.
L’effetto deduzioni è determinante anche per l’ipotesi alternativa, targata Forza Italia, che però deve ancora trovare una definizione compiuta. L’aliquota è più alta, al 23%, ma più consistente è anche lo sconto di base, a 12mila euro, con effetti diversi che dipendono dal decalage (ancora da limare) proporzionale al crescere del reddito.
© RIPRODUZIONE RISERVATA (IL SOLE 24 ORE) M.Mo.
G.Tr.
L’indicazione arriva dal mare di tabelle diffuso ieri dal dipartimento Finanze, che permettono di aggiornare i calcoli sulla Flat Tax circolati fin qui, e basati sui numeri di qualche anno fa. Si tratta naturalmente di un calcolo di massima, perché per le cifre al centesimo occorre ricomporre i contribuenti all’interno dei nuclei famigliari (dato non presente nei numeri ministeriali) e soprattutto occorrerà capire se e come la composizione di una maggioranza in Parlamento porterà davvero al debutto italiano della Flat Tax.
L’ordine di grandezza, però, è utile a mostrare il carattere drastico del cambio di direzione che sarebbe imposto dalla tassa piatta, e soprattutto le garanzie da trovare per non far deragliare i conti pubblici del Paese. Anche nel fisco, del resto, il diavolo sta nei dettagli, che in realtà per i conti dettagli non sono. La Flat Tax è una definizione che può vestire tanti sistemi diversi, come mostra per esempio la distanza fra la proposta leghista e quella elaborata dall’Istituto Bruno Leoni, che contempla un’aliquota più alta (25%), aumenti Iva e una drastica revisione della spesa per portare tutte le caselle al loro posto. L’idea leghista spinge invece sull’effetto-crescita che sarebbe prodotto dal taglio d’imposte, e da un maxi-condono per coprirne l’avvio.
Un altro scambio fondamentale alla base di molte proposte di Flat Tax è quello fra l’addio alle «spese fiscali» (si veda la pagina a fianco) e l’introduzione di deduzioni o detrazioni fisse. Questo do ut des, oltre a rispondere alla parola d’ordine della «semplificazione» che domina tutti i progetti di tassa piatta, è determinante per disegnare la progressività e fissare la richiesta effettiva del nuovo sistema. Il tutto all’interno di una piramide dei redditi che resta molto schiacciata alla base: quasi 11,3 milioni di contribuenti Irpef (il 28% del totale) dichiara non più di 10mila euro, e rientra quindi nel possibile raggio d’azione del reddito di cittadinanza a 5 Stelle (la soglia è a 9.360 euro netti all’anno), sotto i 15mila euro sono in 18,4 milioni (il 45%) mentre solo 35.719 (meno di uno su mille) si avventurano sopra i 300mila euro.
La questione è tradotta in cifre nella tabella qui a fianco, che mostra l’imposta media effettiva pagata da ogni classe di reddito sui propri guadagni complessivi, al lordo delle successive deduzioni e detrazioni che renderebbero impossibili i confronti con le tasse piatte. Già oggi il sistema è viziato da una serie di sconti che si sono accumulati nel tempo in modo piuttosto disordinato, modificando progressivamente la «curva» dell’Irpef. La conferma arriva dai dati delle fasce di reddito più basse, con l’Irpef che chiede fino al 4,8% del reddito negli ultimissimi scalini mentre si alleggerisce all’1,1% quando si sale un po’, verso quota 7.500 euro. Da lì in su il peso dell’imposta cresce progressivamente, fino a sfiorare il 39% quando la denuncia dei redditi viaggia a 300mila euro all’anno.
Molto più dolce il decollo della Flat Tax al 15%, che nelle ipotesi del Carroccio si completa con la deduzione fissa da 3mila euro a famigliare. La progressione rimane piuttosto sensibile per i redditi più bassi, ma dai 50mila euro in su la tassa si fa «piatta» di nome e di fatto perché l’ipotesi azzera da qui in poi le deduzioni. Al crescere del reddito, quindi, crescerebbero in modo lineare anche i benefici rispetto a oggi (i calcoli si riferiscono sempre al contribuente singolo). A 300mila euro, il conto effettivo scenderebbe dal 38,9 appunto al 15.
L’effetto deduzioni è determinante anche per l’ipotesi alternativa, targata Forza Italia, che però deve ancora trovare una definizione compiuta. L’aliquota è più alta, al 23%, ma più consistente è anche lo sconto di base, a 12mila euro, con effetti diversi che dipendono dal decalage (ancora da limare) proporzionale al crescere del reddito.
© RIPRODUZIONE RISERVATA (IL SOLE 24 ORE) M.Mo.
G.Tr.
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