IL FUTURO INCERTO DI FORZA ITALIA

di Marco Invernizzi
Le elezioni politiche del 4 marzo hanno prodotti due vincitori ‒ il Movimento Cinque Stelle, divenuto primo partito nel Paese, e la Lega, divenuta il primo partito della coalizione di Centro-destra ‒ e parecchi importanti ridimensionamenti, fra cui certamente quello del Partito Democratico da un lato e quello di Forza Italia dall’altro. Forza Italia non soltanto ha perso voti rispetto alle consultazioni precedenti, ma ha anzitutto perso la leadership della coalizione di Centro-destra di cui era sempre stata il partito egemone. Il suo futuro appare particolarmente incerto non tanto per l’età di Silvio Berlusconi, fondatore e tuttora leader indiscusso del partito, ma anche e soprattutto per la mancanza di una identità positiva del partito, capace di permettere il superamento delle crisi politiche grazie a una forte connotazione culturale che garantirebbe la conservazione d’importanti consensi anche in periodi di difficoltà e di crisi.
Come si sa, Forza Italia si costituisce in vista delle elezioni politiche del 1994 con la discesa in campo dell’imprenditore Berlusconi, diventando il perno di un’alleanza elettorale con la Destra del Movimento Sociale Italiano, con la Lega Nord di Umberto Bossi e con una componente che fuoriesce dalla Democrazia Cristiana rompendo da destra con altri spezzoni di quello stesso partito d’ispirazione cristiana.
Nasce così un fenomeno politico che dura fino ai nostri giorni, il cosiddetto “berlusconismo”, autentico protagonista dell’ultimo quarto di secolo della politica italiana. Un fenomeno certamente legato al carisma del leader, ma che va ad occupare un ruolo centrale nel Paese, prendendo il posto della vecchia DC, pur con connotati meno confessionali, peraltro in linea con il processo di scristianizzazione avvenuto nella società italiana a partire dagli anni 1960.
Proprio in questo sta peraltro il limite del “berlusconismo”, fattore che in parte spiega anche la modestia dei risultati ottenuti quest’anno da un partito che comunque ha governato il Paese per un decennio.
Berlusconi si è spesso vantato di avere fondato un partito un po’ anarchico quanto ai valori, adattandosi così perfettamente alla cultura oggi egemone, dominata dal relativismo e dunque dall’assenza di qualsiasi pretesa di tradurre in politica princìpi che siano comunque veri, a prescindere dal consenso ottenibile e ottenuto. Pur impedendo di fatto, con i propri governi, la penetrazione anche in Italia di quella deriva etica che ha segnato quasi tutti i Paesi occidentali, Forza Italia non si è mai identificata veramente con quei princìpi, non solo perché non sono oggettivamente sufficienti a caratterizzare una proposta politica, ma anche perché il suo fondatore non ha mai voluto identificarsi completamente con essi.
Questo ha certamente permesso al partito di raccogliere consensi di tipo laicistico (per fare un esempio, il recente animalismo ostentato dell’on. Michela Vittoria Brambilla), ma rappresenta indubbiamente anche un limite rispetto all’identità e alla futura tenuta del partito. Esaurita infatti la rendita politica dell’anticomunismo, che è stata la principale causa della vittoria elettorale conseguita da Forza Italia nel 1994 contro la «gioiosa macchina da guerra» dell’ex Partito Comunista Italiano ‒ come fu chiamata allora ‒, non riuscendo a incidere veramente nella sburocratizzazione del Paese contro il centralismo dello Stato e a favore di una maggiore valorizzazione della funzione dei corpi intermedi nella vita pubblica, Forza Italia appare oggi un partito senza identità, senza una funzione specifica anche nell’ambito della coalizione di Centro-destra, della quale Berlusconi non è più il leader.
Un motivo in più per una riflessione culturale e politica che vada al di là dell’insuccesso elettorale


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