Banche, tutti i rischi della Flat tax
La Flat tax pentaleghista presenta più rischi che vantaggi per le
banche. Almeno nel breve-medio periodo. Prendendo per buone le due righe
riservate alla nuova tassazione per le imprese riportate nel «Contratto
per il Governo del cambiamento», l’impatto della «Dual tax», come
sarebbe meglio definirla, potrebbe determinare una perdita per il
sistema creditizio che oscilla tra i 5,3 miliardi e i 3,1 miliardi di
euro. Non solo. L’effetto negativo del taglio dell’aliquota Ires, senza
una corretta gestione del periodo transitorio, ha riflessi negativi
anche sul patrimonio di vigilanza valido ai fini di Basilea III. Ma
andiamo con ordine.
La riduzione dal 27,5% al 15% o al 20% a partire dall’anno d’imposta 2019, senza alcun correttivo, avrebbe come effetto immediato quello di un taglio del credito per imposte anticipate (Deferred tax asset) già a decorrere dal 2018. Taglio comunque stimato per difetto visto che gli effetti sono stati calcolati sulle Dta attualmente “in pancia” alle prime 8 banche italiane e che rappresentano il 65-70% del nostro mercato del credito. La diminuzione dell’aliquota fiscale ipotizzata dalle nuove forze di Governo genera, di fatto, una rideterminazione di quella che tecnicamente viene definita “fiscalità differita”. Con un duplice effetto: positivo per quei soggetti che hanno accantonato imposte differite, i quali vedranno ridursi il debito accumulato nei confronti dell’Erario; totalmente negativo, invece, per tutti i contribuenti Ires che hanno pagato imposte anticipate negli esercizi precedenti, i quali si vedranno ridurre pesantemente il credito erariale. E questi ultimi, stando agli ultimi bilanci, sono la maggioranza degli istituti di credito, i quali negli anni, per le politiche fiscali dei precedenti governi, non hanno dedotto le perdite sui crediti anno per anno ma in archi temporali ben più lunghi (diciottesimi, noni, quinti). Solo dal 2015 la deducibilità è integrale.
I contribuenti e dunque tutti o quasi gli istituti di credito che hanno iscritto nei propri bilanci un ammontare di imposte anticipate superiore a quello delle imposte differite, con l’arrivo della «Dual Tax», dovranno fare i conti con il mancato recupero fiscale che, nel breve-medio periodo, potrebbe essere maggiore dei benefici fiscali determinati dall’abbattimento dell’aliquota Ires. Quest’ultimo, infatti, se da un lato riduce le imposte dovute nei futuri esercizi, dall’altro taglia la massa di Dta iscritte per imposte anticipate registrate in bilancio e fruibili sotto forma di crediti d’imposta.
Il problema dell’effetto negativo di una riduzione Ires sulle Dta non è poi del tutto nuovo ed è stato affrontato recentemente dal Governo Renzi con la legge di stabilità per il 2017 che ha tagliato di 3,5 punti percentuali l’aliquota Ires. In quell’occasione, l’Esecutivo per bilanciare l’effetto della riduzione di aliquota sul conto economico delle banche ha introdotto un’addizionale Ires pari al taglio effettuato, riportando dunque l’aliquota al 27,5% solo per le banche.
L’effetto «Dual Tax» tradotto in numeri sui bilanci dei principali istituti di credito sarebbe pari a una svalutazione di 5,3 miliardi nel caso di una (improbabile) tassa piatta al 15% per le banche e calcolata in base al rapporto tra gli oltre 11 miliardi di Dta, ancora da trasformare in crediti d’imposta, e il differenziale di 12,5 punti percentuali, frutto del taglio di aliquota dal 27,5 attuale, e la nuova soglia del 15% che si vorrebbe introdurre. La perdita si ridurrebbe a 3,1 miliardi se l’aliquota per banche fosse del 20 per cento. Se si volesse applicare questo rapporto agli ultimi bilanci dei primi 8 istituti italiani, il conto più salato in termini di svalutazione sarebbe quello di Banca Intesa con oltre 1,2 miliardi. A seguire Unicredit con una perdita di oltre 600 milioni e, a chiudere il podio, sarebbe Mps con più di 400 milioni di svalutazione (si veda la tabella in pagina).
Oltre alla svalutazione, la Dual tax, come detto, avrebbe pesanti ripercussioni sul patrimonio di vigilanza e i rigidi paletti fissati da Basilea III. Gli istituti di credito, come già sottolineato, hanno incamerato consistenti quote di Dta che sono state rilevate in bilancio. La trasformabilità delle Dta in crediti d’imposta, già iscritte in bilancio sia per Ires che per Irap, ha consentito alle banche italiane di rispettare i più restrittivi paletti imposti da Basilea III. Il documento del Comitato di Basilea del 16 dicembre 2010 ha previsto, infatti, l’esclusione della fiscalità differita dal patrimonio di vigilanza in quanto le imposte differite attive non sono recuperabili in caso di emergenza o di liquidazione forzata della banca. Il loro recupero può avvenire solo in presenza di utili e relativi imponibili fiscali. Con il taglio “secco” dell’aliquota Ires, senza una corretta gestione del periodo transitorio magari mantenendo l’aliquota al 27,5%, a farne le spese sarebbe dunque il patrimonio di vigilanza valido ai fini di Basilea III.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Mobili
La riduzione dal 27,5% al 15% o al 20% a partire dall’anno d’imposta 2019, senza alcun correttivo, avrebbe come effetto immediato quello di un taglio del credito per imposte anticipate (Deferred tax asset) già a decorrere dal 2018. Taglio comunque stimato per difetto visto che gli effetti sono stati calcolati sulle Dta attualmente “in pancia” alle prime 8 banche italiane e che rappresentano il 65-70% del nostro mercato del credito. La diminuzione dell’aliquota fiscale ipotizzata dalle nuove forze di Governo genera, di fatto, una rideterminazione di quella che tecnicamente viene definita “fiscalità differita”. Con un duplice effetto: positivo per quei soggetti che hanno accantonato imposte differite, i quali vedranno ridursi il debito accumulato nei confronti dell’Erario; totalmente negativo, invece, per tutti i contribuenti Ires che hanno pagato imposte anticipate negli esercizi precedenti, i quali si vedranno ridurre pesantemente il credito erariale. E questi ultimi, stando agli ultimi bilanci, sono la maggioranza degli istituti di credito, i quali negli anni, per le politiche fiscali dei precedenti governi, non hanno dedotto le perdite sui crediti anno per anno ma in archi temporali ben più lunghi (diciottesimi, noni, quinti). Solo dal 2015 la deducibilità è integrale.
I contribuenti e dunque tutti o quasi gli istituti di credito che hanno iscritto nei propri bilanci un ammontare di imposte anticipate superiore a quello delle imposte differite, con l’arrivo della «Dual Tax», dovranno fare i conti con il mancato recupero fiscale che, nel breve-medio periodo, potrebbe essere maggiore dei benefici fiscali determinati dall’abbattimento dell’aliquota Ires. Quest’ultimo, infatti, se da un lato riduce le imposte dovute nei futuri esercizi, dall’altro taglia la massa di Dta iscritte per imposte anticipate registrate in bilancio e fruibili sotto forma di crediti d’imposta.
Il problema dell’effetto negativo di una riduzione Ires sulle Dta non è poi del tutto nuovo ed è stato affrontato recentemente dal Governo Renzi con la legge di stabilità per il 2017 che ha tagliato di 3,5 punti percentuali l’aliquota Ires. In quell’occasione, l’Esecutivo per bilanciare l’effetto della riduzione di aliquota sul conto economico delle banche ha introdotto un’addizionale Ires pari al taglio effettuato, riportando dunque l’aliquota al 27,5% solo per le banche.
L’effetto «Dual Tax» tradotto in numeri sui bilanci dei principali istituti di credito sarebbe pari a una svalutazione di 5,3 miliardi nel caso di una (improbabile) tassa piatta al 15% per le banche e calcolata in base al rapporto tra gli oltre 11 miliardi di Dta, ancora da trasformare in crediti d’imposta, e il differenziale di 12,5 punti percentuali, frutto del taglio di aliquota dal 27,5 attuale, e la nuova soglia del 15% che si vorrebbe introdurre. La perdita si ridurrebbe a 3,1 miliardi se l’aliquota per banche fosse del 20 per cento. Se si volesse applicare questo rapporto agli ultimi bilanci dei primi 8 istituti italiani, il conto più salato in termini di svalutazione sarebbe quello di Banca Intesa con oltre 1,2 miliardi. A seguire Unicredit con una perdita di oltre 600 milioni e, a chiudere il podio, sarebbe Mps con più di 400 milioni di svalutazione (si veda la tabella in pagina).
Oltre alla svalutazione, la Dual tax, come detto, avrebbe pesanti ripercussioni sul patrimonio di vigilanza e i rigidi paletti fissati da Basilea III. Gli istituti di credito, come già sottolineato, hanno incamerato consistenti quote di Dta che sono state rilevate in bilancio. La trasformabilità delle Dta in crediti d’imposta, già iscritte in bilancio sia per Ires che per Irap, ha consentito alle banche italiane di rispettare i più restrittivi paletti imposti da Basilea III. Il documento del Comitato di Basilea del 16 dicembre 2010 ha previsto, infatti, l’esclusione della fiscalità differita dal patrimonio di vigilanza in quanto le imposte differite attive non sono recuperabili in caso di emergenza o di liquidazione forzata della banca. Il loro recupero può avvenire solo in presenza di utili e relativi imponibili fiscali. Con il taglio “secco” dell’aliquota Ires, senza una corretta gestione del periodo transitorio magari mantenendo l’aliquota al 27,5%, a farne le spese sarebbe dunque il patrimonio di vigilanza valido ai fini di Basilea III.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Mobili
Commenti
Posta un commento
risponerò appena possibile