LEGA E 5 STELLE PROPORRANNO I MINISTRI - FORZA ITALIA - SI ASTERRA' PER CONSENTIRE LA NASCITA DEL GOVERNO
L’oracolo di Arcore ha parlato e ha dato il suo nulla osta al governo Di Maio-Salvini: «Non potremo certamente votare la fiducia, ma non sta certo a noi porre veti o pregiudiziali. Valuteremo in modo sereno e senza pregiudizi l’operato del governo che eventualmente nascerà, sostenendo lealmente come abbiamo sempre fatto i provvedimenti che siano in linea con il programma del centrodestra e che riterremo utili per gli italiani». Di fatto Berlusconi anticipa l’astensione di Forza Italia all’esecutivo giallo-verde. Ma certifica anche, nero su bianco, che l’alleanza di centrodestra resta in piedi: «Rimangono le tante collaborazioni nei governi regionali e locali, rimane una storia comune, rimane il comune impegno preso con gli elettori».
La nota ufficiale è arrivata in serata, confermando il mood di tutta la giornata che dava per imminente la disponibilità dell’ex premier a non mettersi di traverso alla richiesta del suo alleato Matteo Salvini di consentire alla Lega l’intesa con i Cinque Stelle. A precedere le parole del Cavaliere una lunga serie di dichiarazioni di tutti i big azzurri, dagli ex capigruppo Brunetta e Romani alle attuali presidenti di deputati e senatori Gelmini e Bernini, fino a Gasparri e soprattutto a Giovanni Toti, che aveva vaticinato: «Se va bene ci asterremo, se va male voteremo all’opposizione». Opposizione cui al momento sembra invece già orientato Fdi.
Ma a convincere Berlusconi è stato il timore, dei suoi parlamentari e degli uomini a lui più vicini, a partire da Fedele Confalonieri, Gianni Letta e Adriano Galliani, di un rapido ritorno alle urne. Prospettiva assai peggiore della nascita di un governo senza la partecipazione diretta di Fi.
In questo senso, la chiarezza del capo dello Stato sull’impossibilità di poter mandare avanti la legislatura senza una maggioranza parlamentare è stata dirimente. Ad aiutare è stato anche il pressing sempre più insistente dei due attori protagonisti. Ieri ha cominciato Di Maio, accogliendo la richiesta della Lega di ammorbidire i toni verso Berlusconi («Non è un veto su di lui: è una volontà di dialogare con la Lega. Punto»). Poi il faccia a faccia con Salvini negli uffici dei gruppi di Montecitorio, preludio necessario alla richiesta formale inoltrata al presidente Mattarella di un supplemento di tempo. Perché, come ha poi suggellato la nota del Colle, «è in corso un confronto per pervenire a un possibile accordo di governo».
Mancava soltanto l’ultimo decisivo tassello: il sì del Cavaliere. Che per l’intero giorno è rimasto nel fortino di Arcore, dove si controllava attentamente l’andamento delle azioni Mediaset, lasciando nell’incertezza tanto i suoi “avversari” che i parlamentari forzisti. Con il passare delle ore, il silenzio di Berlusconi stava alimentando la preoccupazione di un nuovo irrigidimento. Alla fine però ha prevalso il pragmatismo di Letta e Confalonieri.
Adesso viene il bello. Per Di Maio e Salvini non ci saranno più giustificazioni, come ha ricordato Berlusconi: se il governo non riuscisse a vedere la luce «nessuno potrà usarci come alibi di fronte all’incapacità - o all’impossibilità oggettiva - di trovare accordi fra forze politiche molto diverse». E i nodi già stanno venendo al pettine. Dagli entourage dei leader di Lega e M5S si smentisce che si sia aperto il confronto sui nomi, a partire da quello del premier. I Cinque Stelle insistono nel sostenere che bisogna prima mettersi al tavolo per scrivere insieme il contratto di governo. Operazione che richiede tempo, tant’è che non si escludono nuove proroghe.
Ma è chiaro che mai come in questa partita le poltrone saranno determinanti. Di Maio ha smentito un suo rinnovato interesse per Palazzo Chigi: il governo giallo-verde avrà «un premier terzo». Su questo l’accordo è già raggiunto, anche se torna l’ipotesi della staffetta. Anche perché trovare un presidente del Consiglio “commissariato” dai due leader non è impresa facile. Il totonomi, comunque, già impazza: dalle parti dei Cinque Stelle si gradirebbe l’ex ministro del governo Letta ed ex presidente Istat Enrico Giovannini, dalla Lega quello dell’avvocato Giulia Bongiorno. L’ipotesi Giorgetti, salvo sorprese, sembra tramontata. Ma sui posti chiave del futuro esecutivo peserà, e non poco, il giudizio del Quirinale.
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Barbara Fiammeri
Manuela Perrone
FONTE :
La nota ufficiale è arrivata in serata, confermando il mood di tutta la giornata che dava per imminente la disponibilità dell’ex premier a non mettersi di traverso alla richiesta del suo alleato Matteo Salvini di consentire alla Lega l’intesa con i Cinque Stelle. A precedere le parole del Cavaliere una lunga serie di dichiarazioni di tutti i big azzurri, dagli ex capigruppo Brunetta e Romani alle attuali presidenti di deputati e senatori Gelmini e Bernini, fino a Gasparri e soprattutto a Giovanni Toti, che aveva vaticinato: «Se va bene ci asterremo, se va male voteremo all’opposizione». Opposizione cui al momento sembra invece già orientato Fdi.
Ma a convincere Berlusconi è stato il timore, dei suoi parlamentari e degli uomini a lui più vicini, a partire da Fedele Confalonieri, Gianni Letta e Adriano Galliani, di un rapido ritorno alle urne. Prospettiva assai peggiore della nascita di un governo senza la partecipazione diretta di Fi.
In questo senso, la chiarezza del capo dello Stato sull’impossibilità di poter mandare avanti la legislatura senza una maggioranza parlamentare è stata dirimente. Ad aiutare è stato anche il pressing sempre più insistente dei due attori protagonisti. Ieri ha cominciato Di Maio, accogliendo la richiesta della Lega di ammorbidire i toni verso Berlusconi («Non è un veto su di lui: è una volontà di dialogare con la Lega. Punto»). Poi il faccia a faccia con Salvini negli uffici dei gruppi di Montecitorio, preludio necessario alla richiesta formale inoltrata al presidente Mattarella di un supplemento di tempo. Perché, come ha poi suggellato la nota del Colle, «è in corso un confronto per pervenire a un possibile accordo di governo».
Mancava soltanto l’ultimo decisivo tassello: il sì del Cavaliere. Che per l’intero giorno è rimasto nel fortino di Arcore, dove si controllava attentamente l’andamento delle azioni Mediaset, lasciando nell’incertezza tanto i suoi “avversari” che i parlamentari forzisti. Con il passare delle ore, il silenzio di Berlusconi stava alimentando la preoccupazione di un nuovo irrigidimento. Alla fine però ha prevalso il pragmatismo di Letta e Confalonieri.
Adesso viene il bello. Per Di Maio e Salvini non ci saranno più giustificazioni, come ha ricordato Berlusconi: se il governo non riuscisse a vedere la luce «nessuno potrà usarci come alibi di fronte all’incapacità - o all’impossibilità oggettiva - di trovare accordi fra forze politiche molto diverse». E i nodi già stanno venendo al pettine. Dagli entourage dei leader di Lega e M5S si smentisce che si sia aperto il confronto sui nomi, a partire da quello del premier. I Cinque Stelle insistono nel sostenere che bisogna prima mettersi al tavolo per scrivere insieme il contratto di governo. Operazione che richiede tempo, tant’è che non si escludono nuove proroghe.
Ma è chiaro che mai come in questa partita le poltrone saranno determinanti. Di Maio ha smentito un suo rinnovato interesse per Palazzo Chigi: il governo giallo-verde avrà «un premier terzo». Su questo l’accordo è già raggiunto, anche se torna l’ipotesi della staffetta. Anche perché trovare un presidente del Consiglio “commissariato” dai due leader non è impresa facile. Il totonomi, comunque, già impazza: dalle parti dei Cinque Stelle si gradirebbe l’ex ministro del governo Letta ed ex presidente Istat Enrico Giovannini, dalla Lega quello dell’avvocato Giulia Bongiorno. L’ipotesi Giorgetti, salvo sorprese, sembra tramontata. Ma sui posti chiave del futuro esecutivo peserà, e non poco, il giudizio del Quirinale.
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Manuela Perrone
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