IN POLITICA BISOGNA SALVAGUARDARE IL RAPPORTO TRA L'ELETTO E L'ELETTORE


TRATTO DA PARTE DI UN EDITORIALE Nuova Umanità
VOTARE NON BASTA.
IL PATTO ELETTO-ELETTORE NELLA CRISI DEMOCRATICA - IL PARADOSSO DI GIDDENS
Nella maggior parte delle democrazie occidentali, negli ultimi anni i livelli di fiducia nella classe politica e nei partiti sono crollati, il distacco nei confronti delle vicende istituzionali e dei loro protagonisti sembra crescere in particolare nelle nuove generazioni.
1.       Trattandosi di un fenomeno che attraversa tutta l’area europea, Giddens, sociologo inglese, qualche anno fa descrisse questo fenomeno utilizzando la figura del paradosso. Mentre infatti la democrazia moderna si diffonde e si consolida tra i sistemi di governo del pianeta (senza sottovalutare i traumi che derivano da processi artificiali di esportazione), si estende allo stesso tempo un fenomeno che può apparire antitetico: «l’emergere nelle democrazie mature (che il resto del mondo dovrebbe imitare) di una delusione crescente nei confronti dei processi democratici
2.       Evidentemente, è difficile sintetizzare un fenomeno complesso come quello della frattura progressiva tra Stato e società: numerose indagini, dopo aver misurato il fenomeno in senso quanti  I sondaggi condotti di recente nei Paesi dell’Unione Europea da Eurobarometro possono essere consultati su: http://ec.europa.eu/public_opinion/index _en.htm.2 A. Giddens, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, trad. it., il Mulino, Bologna 2000, p. 89. N.U. 178-179 impagin 23-10-2008 8:24 Pagina 423
3.       Il tentativo e qualitativo, spesso consegnano ad altri studi l’analisi delle cause e delle variabili di contesto, diverse tra un Paese e l’altro. Ma tentiamo di dire qualcosa di più. Tra gli indicatori che evidenziano la transizione in corso, quelli sulla partecipazione elettorale e sulla partecipazione politica più in generale sono considerati fortemente espressivi; soggetti a variazioni significative, mostrano una forte relazione con eventi sociali e politici che, nel breve periodo, riescono a scompaginare dati e linee di tendenza che i ricercatori erano arrivati ad identificare. Una recente conferma è riscontrabile nella massiccia partecipazione popolare alle votazioni primarie per la designazione dei candidati del partito democratico e repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, partecipazione che si è dilatata lungo i mesi attraversando il vasto territorio di quella nazione, in una proporzione quattro volte superiore a quanto era stato anticipato dai centri di ricerca sulla base dei dati delle precedenti consultazioni. Scostandoci dalla scena internazionale (per quanto riguarda i soggetti, ma non per la tematica posta al centro dall’iniziativa), in Italia il 15 febbraio 2008 per il quarto anno consecutivo, cittadini, scuole e università, associazioni e società sportive, musei, e palestre, aziende e istituzioni, sono stati invitati a spegnere in un orario preciso del giorno le luci e tutti i dispositivi elettrici non indispensabili, per partecipare alla Giornata nazionale del Risparmio energetico. Nata da un’idea dei conduttori di un programma radiofonico a diffusione nazionale, quest’anno la campagna ha coinvolto anche le principali istituzioni politiche. Nelle precedenti edizioni, aveva già contagiato milioni di persone in una coinvolgente gara di buone pratiche ambientali, stimolando una partecipazione diffusa e dal basso, per adottare comportamenti virtuosi in grado di incidere sui consumi e ridurre gli sprechi. Un altro dato significativo che sembrerebbe andare, però, nella direzione opposta, dal momento che la partecipazione delle persone chiamate a votare è stata inferiore al 40 per cento, è quello del referendum consultivo indetto negli stessi giorni a Firenze per il tracciato della nuova tramvia nel centro storico della città, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Non si è raggiunto nemmeno il quorum intorno ad una questione che, così Votare non basta. Il patto eletto-elettore nella crisi democratica poteva pensare, avrebbe dovuto richiamare senza alcun dubbio l’interesse della maggioranza della popolazione. In realtà il sindaco aveva già avvertito che, comunque fosse andata la consultazione, l’amministrazione poteva ignorare il voto, a norma di regolamento, e non discuterne neppure in consiglio. In casi come questi vengono in evidenza con facilità anche gli errori e le incoerenze su cui inciampa l’appello a partecipare che la politica rivolge ai cittadini; eppure si tratta di una constatazione che non riesce a confutare quell’incomprimibile propensione sociale a coinvolgersi, a dare del proprio, ad accettare la corresponsabilità che viene dal sentirsi parte della medesima comunità, lungo un continuum che va dal locale al globale.
4.       Per questo, nonostante limiti e dilemmi, procedono entro un prevalente clima favorevole le diverse sperimentazioni partecipative che le amministrazioni pubbliche mettono in opera, aprendo ai cittadini nuovi spazi di dibattito e di deliberazione. L’elaborazione e l’attuazione di programmi e di politiche pubbliche utilizza sempre più di frequente metodologie collaborative, forme di regolazione a rete, di coinvolgimento degli abitanti, delle famiglie e delle numerose strutture associative intermedie nei territori locali. Il ventaglio delle opportunità comprende iniziative diverse per obiettivi, metodologie e capacità di intervento, ambito territoriale e soggetti promotori 3; ciò che appare comune è la scelta di includere all’interno dell’arena decisionale il più alto numero di soggetti portatori di interessi e visioni diverse e di predisporre specifiche occasioni di dialogo a questo scopo, una scelta che diventa risorsa fondamentale per l’efficacia e l’attuazione delle politiche in questione.
5.       Per quanto riguarda l’Italia, le pratiche partecipative non sono mai state del tutto estranee alle amministrazioni pubbliche (basti pensare alla nascita degli organi collegiali nelle scuole, negli anni settanta), ma a partire dagli anni novanta il fenomeno si approfondisce e mi riferisco in particolare ai processi di urbanistica partecipata, ai piani strategici metropolitani, ma anche ai contratti di quartiere e ai patti territoriali, ai piani sociali e della salute, ai processi di Agenda 21 per lo sviluppo locale sostenibile fino alle esperienze di bilancio partecipativo, che in Italia non sono ancora molto sviluppate, mentre cominciano ad essere numerose in altri Paesi europei.
6.       Ovviamente parliamo di pratiche tuttora minoritarie, distribuite in maniera puntiforme, in cui viene coinvolta prevalentemente una “società di mezzo” provvista di adeguate risorse umane e sociali. Ma oggi appare difficile pensare che tale sviluppo possa regredire per tornare alle prassi decisioniste e centralizzate di un recente passato, a conferma di un diverso profilo che si fa strada , in controtendenza rispetto a quanto affermato da altre analisi, che sottolineano piuttosto l’emergere di comportamenti inerziali, di acquiescenza e passività sociale, suscitati o ravvivati da una certa tendenza dogmatica e populista del panorama politico.
7.       In realtà, di fronte ad arene politiche come quelle moderne, eterogenee, asimmetriche e conflittuali, che rigettano sempre di più la semplificazione superficiale delle istanze, la riduzione delle differenze e la costruzione artificiale del consenso, la scelta che si dimostra più produttiva è quella dell’incontro e della composizione del maggior numero di contributi, dell’ascolto e del coinvolgimento, armato piuttosto degli strumenti del dialogo e della progettazione orientata al bene comune.
QUALITÀ DEMOCRATICA E NUOVI INTERROGATIVI
Gli esempi considerati finora possono essere letti come una risposta alla crisi politica che la società civile va esprimendo. La diffusione di tale scenario partecipativo è monitorata con attenzione da numerosi studiosi; tra questi, in Italia, G. Pasquino (ed.), Strumenti della democrazia, il Mulino, Bologna 2007; L. Bobbio (ed.), Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli
2007; G. Allegretti - M.E. Frascaroli (edd.), Percorsi condivisi. Contributi per un atlante di pratiche partecipative in Italia, Alinea Editrice, Firenze 2006.  Sul tema della partecipazione politica, sugli interrogativi e sulle prospettive che emergono da un ampio insieme di pratiche partecipative, il Movimento politico per l’unità (www.mppu.org) ha promosso nel novembre 2007 un convegno internazionale di studi, del quale si pubblicheranno a breve i documenti più significativi.
Votare non basta. Il patto eletto-elettore nella crisi democratica
A fronte ad un rapido svuotamento (nei contenuti e nelle forme) delle funzioni finora demandate ai partiti politici e all’insufficienza, se non alla profonda corruzione, degli altri canali tradizionali della democrazia rappresentativa, come il mandato conferito ai rappresentanti eletti nelle istituzioni legislative e amministrative. Crisi di partecipazione, quindi, ma anche crisi della rappresentanza; anzi, profonda e diffusa crisi delle forme consolidate della rappresentanza democratica.
Su queste premesse, un recente filone di studi ha costruito la propria analisi attorno al concetto di qualità della democrazia, scegliendo di concentrarsi sui processi di incremento qualitativo che investono gli assetti delle democrazie contemporanee. La democratizzazione, infatti, non può dirsi mai pienamente compiuta;
non a caso, già nel 1969, Schattschneider, politologo degli Stati Uniti, trattando di democrazia, la definiva come uno scenario in continua sperimentazione, tuttora in corso di invenzione, aperto ad una molteplicità di interpretazioni, nessuna delle quali definitiva.
Anche secondo questo approccio, tra gli aspetti costitutivi di una “democrazia di qualità”, e cioè tra le principali dimensioni che condizionano la qualità complessiva del sistema, la partecipazione occupa un ruolo nodale, dove i cittadini sono gli attori principali. Ma dal momento che il contesto istituzionale che fa da sfondo è nettamente delimitato dalle coordinate della democrazia rappresentativa, ruolo e funzioni che competono ai cittadini e agli altri attori politici in quanto inseriti in un sistema rappresentativo vanno meglio specificati.
In questo quadro, una condizione pesa più delle altre sulla qualità complessiva, perché misura il funzionamento reale del vincolo democratico tra rappresentanti e rappresentati. Per una presentazione approfondita del tema, cf. in particolare L. Morlino, Democrazie e democratizzazioni, il Mulino, Bologna 2003; L. Diamond - L.Morlino, Assessing the Quality of Democracy, The Johns Hopkins University Press, Baltimore 2005.
Per quanto riguarda gli assetti democratici rappresentativi, deve sussistere la possibilità da parte dei cittadini e delle varie articolazioni sociali di esercitare un effettivo controllo sugli eletti e sulle istituzioni, per cui debbano rispondere politicamente del proprio operato (concetto che in italiano non trova un’espressione univoca, se non il termine abbastanza vago di responsabilità, mentre in inglese viene utilizzato più precisamente il termine accountability). A fare una buona democrazia – afferma Morlino, che ha introdotto questa proposta analitica – è essenzialmente il corretto funzionamento dei processi politici che vanno dal basso verso l’alto, quelli cioè che incardinano ai cittadini il rapporto di rappresentanza che il mandato elettorale costituisce 8. E in effetti, è esattamente il progressivo svuotamento di questo rapporto tra la classe politica e i cittadini rappresentati, come si è visto, che sta indebolendo la costruzione democratica nel suo complesso. Da un lato, la percezione della distanza crescente tra mondi sociali e istituzioni politiche ha rafforzato l’attitudine di cittadini e amministratori ad esplorare modalità partecipative più laboriose per costruire le politiche pubbliche. Dall’altro, è all’origine di una rivolta più ampia che colpisce direttamente, negli ultimi tempi, il palazzo della politica, dove il mandato elettivo è fortemente condizionato dal perdurante potere dei partiti, le cui ristrette oligarchie sono spesso gli unici soggetti politici ad esercitare una vera sovranità, ma anche dall’incidenza pervasiva dei mass media e del condizionamento che essi sono in grado di svolgere nella formazione del consenso. Per questo, una politica che ricerca un profondo rinnovamento dei suoi significati, del suo linguaggio e dei suoi strumenti, deve addentrarsi anche in questo ambito, quello istituzionale, che rappresenta il cuore della forma democratica moderna e conserva e trasmette il Dna del sistema.
All’opposto, è stato definito come “democrazia senza qualità” il regime istituzionale in cui il vincolo della responsabilità manca e il cittadino, seppure chiamato periodicamente a votare, viene ignorato per tutto il periodo che intercorre tra un’elezione e l’altra. Cf. G. O’Donnell, Delegative Democracy, in «Journal of Democracy», 5 (1), 1994, pp. 55-69.
RENDERE CONTO AI CITTADINI
Approfondire la difficile relazione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa chiede ulteriori riflessioni. Non c’è dubbio che, alla luce di un approccio di studi qualitativo, dare maggiore spazio alla partecipazione dei cittadini nei processi decisionali possa concorrere in modo sostanziale a incrementare la qualità complessiva del sistema democratico. La possibilità di rendere maggiormente presenti attorno ai tavoli deliberativi gli interessi effettivi delle persone, accorciando la filiera dei passaggi burocratici ed evitando l’opacità di taluni percorsi, non può che accrescere la corrispondenza tra le domande dei gruppi sociali e le risposte della politica, il riconoscimento e la legittimità delle scelte assunte dagli attori politici, la soddisfazione dei cittadini; effetti che evidentemente incidono in modo positivo sulla qualità democratica. Allo stesso tempo, affermando che la democrazia moderna è rappresentativa e che il processo di democratizzazione deve prevedere la responsabilità e il controllo dei rappresentanti eletti, si intende qualcosa di più. La chiamata a rendere conto rivolta ai rappresentanti eletti è un contenuto democratico che la teoria politica ha legato al momento del voto, potremmo dire, da sempre. Nei paesi democratici andare a votare è un momento assolutamente importante: di tempo in tempo, siamo chiamati a scegliere a chi affidare il governo degli interessi comuni, chi delegare a nostro rappresentante nella polis. Di conseguenza, si è sempre ritenuto che il rendere conto avvenga anzitutto al momento del voto, sia per quanti concludono il mandato elettivo, sia per quanti si candidano per la prima volta: entrambi devono sottomettersi al vaglio del consenso popolare, che verrà loro accordato, rinnovato o cancellato sulla base delle competenze espresse e dei risultati raggiunti. Per tutto ciò, la conquista del suffragio universale, tuttora geograficamente e politicamente delimitato, rappresenta uno dei pilastri della storia della democrazia che prende forma nel territorio di una nazione, uno spartiacque ben visibile nel cammino della democrazia verso l’uguaglianza. La votazione pone ciascun cittadino di fronte allo Stato, soppiantando ogni autorità e potere.
Anche per questo la partecipazione elettorale costituisce quasi una pre-condizione di ulteriori attività di partecipazione politica. Ed ogni elezione, insieme alla campagna elettorale che la precede, ha rappresentato e continua a rappresentare uno snodo centrale, un’opportunità irrinunciabile di verifica e dialogo tra le diverse posizioni che i cittadini hanno il diritto di avanzare, per concorrere a determinare, seppure attraverso la mediazione di rappresentanti, l’ordinamento della propria convivenza.
Eppure, oggi votare non basta più: è prima di tutto la percezione dei cittadini ad esigere un approfondimento di questa modalità di partecipazione. Lo stesso principio «un cittadino, un voto», che ha segnato una tappa di valore storico nel processo di democratizzazione, non rappresenta più un fondamento di democrazia assoluto e sufficiente, dato che il sistema è sottoposto a molteplici fattori di squilibrio che di fatto pregiudicano la premessa dell’uguaglianza individuale. Inoltre, la scelta operata dal cittadino con il voto per la selezione dei governanti non è adeguata a manifestare anche le sue preferenze riguardo alle politiche da perseguire. Non comunica loro che poche informazioni generiche, dal momento che «tra scelte elettorali e decisioni di governo si interpone un largo margine di discrezionalità: le elezioni stabiliscono chi governerà, assai meno il contenuto del governare» .
Se la relazione verticale tra l’eletto e l’elettore può essere definita come la relazione politica fondamentale, è assolutamente insufficiente – questo è l’aspetto determinante – che essa si esaurisca gettando di tanto in tanto il voto nell’urna. L’esigenza che i cittadini possano concorrere al lavoro politico dei propri rappresentanti durante tutto lo svolgimento del mandato elettorale in modi ricchi di contenuto e continuativi, con l’argomentazione e la ricerca, il sostegno oppure la contestazione, è una delle domande cruciali che le classi politiche che si alternano nell’esercizio del potere devono decidere di affrontare adeguatamente.
In questa linea vanno valutati alcuni fenomeni sociali. Se, per fare un esempio, si tenesse più conto delle migliaia di “internauti” che abitano la Rete e la arricchiscono di interrogativi, di percorsi di ricerca, ma anche di risposte, di valori e progetti, collaborando a comporre e ricomporre ogni giorno la sfera pubblica attraverso il loro libero contributo, riconoscere la soggettività politica del corpo sociale in forme non contratte e costanti nel tempo sarebbe meno problematico di quanto appaia. La società si configura sempre di più come un insieme complesso e il suo attuale dinamismo testimonia una capacità di iniziativa sociale e politica, un patrimonio di competenze e risorse già presenti e in azione. Sull’esistenza di queste reti sociali attive e aperte reciprocamente l’una all’altra si fonda oggi una nuova «sovranità diffusa, nella quale si esprime non solo l’astratto cittadino, portatore di un voto elettorale uguale agli altri, ma la concreta persona, con la sua storia, i suoi valori, la sue appartenenze famigliari, sociali, religiose» .
Se «il pluralismo sociale prima di essere una teoria è una situazione oggettiva, in cui siamo immersi» , ciò dovrebbe comportare anche il riconoscimento di diversi livelli di costruzione dell’agenda, di scelta e deliberazione, oltre a quelli tradizionali già affermati. Certo, le difficoltà e la complessità tecnica e politica dei problemi di governo, il distacco e la disinformazione che caratterizza gran parte degli elettori, sono elementi che concorrono a richiedere e tutelare l’autonomia di chi esercita la funzione rappresentativa.
Ma tutto ciò può negare oggettivamente la domanda di una relazione più impegnativa, rispetto alla situazione odierna, tra i due soggetti politici protagonisti del rapporto di rappresentanza?
·         A.M. Baggio, Sovranità in crisi, in «Città Nuova», 10 (1994), p. 46.
·         N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1995 (ed. or. 1984), p. 55.
SOCIETÀ CIVILE E SOCIETÀ POLITICA
L’esperienza del Patto politico-partecipativo può essere considerata un esempio e una conferma di un diverso orizzonte, anche se tuttora circoscritto alla dimensione di nicchia. Quali ragioni sostengono tale considerazione? I paragrafi che seguono tenteranno di descriverne la vicenda e i contenuti principali, evidenziando alcuni elementi di novità che sembrano dialogare più direttamente con gli interrogativi posti dalla teoria democratica che sono stati sopra richiamati.
Il riconoscimento di un’esperienza politica che appartiene al corpo sociale in quanto tale, e non solo ai professionisti della politica, è un aspetto che ha caratterizzato fin dai primi anni le pratiche e i percorsi di socializzazione politica che hanno preso forma tra le persone che si avvicinavano mano a mano alla proposta del Movimento dei Focolari. Il Patto politico-partecipativo è uno di questi esempi, un’originale sperimentazione volta a riconfigurare secondo una metodologia innovativa lo svolgimento del mandato
politico; dietro le spalle, ha ormai più di vent’anni, ma continua a suscitare interesse, sia dal punto di vista teorico che sul piano operativo.
Una delle note qualificanti, che ne rappresenta allo stesso tempo una condizione e un effetto, è il fatto di poggiare su un’interpretazione del sistema politico in cui ciascun cittadino è soggetto competente e responsabile della costruzione della propria comunità , partecipe di una funzione sociale universale che precede l’ingegneria istituzionale, per cui è riconosciuta a ognuno un’attitudine normale e necessaria a prendersi cura e a ordinare la rete delle interazioni sociali. Anche se dalla valutazione di un’esperienza. Esprime bene questa idea la definizione di politica proposta da Chiara Lubich: «Se dessimo un colore ad ogni attività umana, all’economia, alla sanità, alla comunicazione, all’arte, al lavoro culturale, alla amministrazione della giustizia…….la politica non avrebbe un colore, sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri colori» (Discorso ai parlamentari, Londra, 22 giugno 2004; inedito, cf. archivio Movimento dei Focolari).
E’ impossibile trarre generalizzazioni, studiando il Patto e la sua attuazione da parte di soggetti diversi, in ambienti culturali, socioeconomici e politico-istituzionali differenti, emerge qualcosa di più di una risposta settoriale, chiusa entro coordinate spazio temporali, a domande locali e contingenti. È piuttosto un percorso che interseca partecipazione e rappresentanza democratica, che si sviluppa nell’alveo di quella «cultura dell’unità» 13 – così è stata definita – che fiorisce dall’esperienza spirituale di Chiara Lubich e allo stesso tempo raccoglie e sintetizza alcuni temi politici rilevanti fin dagli anni ottanta (quando il Patto vede la sua prima formulazione) e, forse, oggi ancora più rilevanti. A confronto con alcuni dei capitoli della crisi democratica attuale, infatti, l’esperienza del Patto ha una parola precisa da dire ed evidenzia un contributo peculiare che il principio della fraternità universale introduce dentro le dinamiche politiche.
Il Patto potrebbe essere definito un accordo carico di impegni reciproci che i cittadini stipulano con il loro rappresentante fin dal momento in cui si candida o quando viene eletto, assumendosi insieme a lui la responsabilità di definire l’agenda, le priorità e i contenuti delle decisioni politiche, e di controllarne l’attuazione. L’iniziativa ha preso avvio intorno alla metà degli anni ottanta. Oggi il termine “patto”, come atto di intesa che impegna reciprocamente le parti a rispettare determinati obblighi, viene usato sempre più comunemente: negli studi di riforma istituzionale, nelle trattative sindacali e nei programmi elettorali... Il Patto politico-partecipativo tra eletto ed elettori risale ai primi mesi del 1985, quando, approssimandosi le elezioni amministrative a Teramo.
Tra i documenti più recenti che parlano di “cultura dell’unità”, il decreto pontificio del dicembre 2007 relativo al nuovo Istituto universitario del Movimento dei Focolari, che offrirà il corso di laurea magistrale in “Fondamenti e prospettive di una cultura dell’unità”. Già nel 1996, Adam Biela, decano della Facoltà di Scienze Sociali a Lublino, attribuendo a Chiara Lubich il dottorato h.c., rilevava l’esistenza nella sua opera di un «paradigma interdisciplinare di unità, come fondamento metodologico per la costruzione di modelli teorici, di strategie di ricerca empirica e di schemi di applicazione per le scienze sociali»
Molto significativo è il contributo di Tommaso Sorgi (nato nel 1921), membro del Centro di coordinamento dei Focolari, fino al 1990 è stato professore di sociologia presso le Facoltà di Scienze Politiche e di Giurisprudenza dell’Università di Chieti e deputato alla Camera per quattro legislature (dal 1953 al 1972). Attualmente è responsabile del Centro “Igino Giordani”, di cui sta curando, tra l’altro, la biografia documentaria.
Nella sua Teramo nacquero i Gruppi di impegno politico si sono in seguito ispirati alla metodologia del Patto in Brasile, Argentina, Filippine e, in Europa, in Francia, Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Croazia e Repubblica Ceca.
UN’ESPERIENZA DI DEMOCRAZIA
«Votare non basta»: è certamente una delle affermazioni che meglio giustifica la spinta al cambiamento contenuta nel Patto. Si tratta di un’osservazione non rara nella letteratura politologica 18:
per Sartori, in un testo del 1993, elezioni e rappresentanza elettiva «sono sì il corredo strumentale senza il quale la democrazia non si realizza; ma ne sono al tempo stesso il tallone di Achille», potendo il voto dei cittadini risolversi «in una pura e semplice rinunzia periodica del proprio potere» 19. Anche per Sorgi, se il voto mantiene il suo significato centrale di atto con cui i singoli cittadini esprimono «il grado fondamentale di partecipazione politica », «gli attuali canali della democrazia rappresentativa tendono a bloccare nel momento elettorale la sovranità del popolo (...), sì che il voto diventa una delega assoluta, verificabile solo ogni cinque anni. In tal modo i cittadini danno un voto passivo, autoespropriativo (...). L’elettore non può più accontentarsi del “nudo votare”».
Resta da dire che, nonostante il discreto sviluppo che l’esperienza del Patto politico sta conoscendo, la letteratura che lo riguarda è tuttora limitata, basandosi essenzialmente su alcuni scritti di Sorgi e di pochi altri autori. È interessante ricordare quanto scriveva già nel 1835 in La democrazia in America Tocqueville, tra i più acuti e convincenti riguardo ai rischi di una partecipazione meramente delegante, osservando il carattere oppressivo che può assumere l’ordinamento democratico quando «il popolo non esercita la sovranità che un giorno soltanto», sceglie i suoi governanti e poi «abdica fino alle seguenti elezioni » così che i cittadini escono per un momento dalla dipendenza, per designare il loro padrone, e poi vi rientrano.
·         G. Sartori, Democrazia. Che cosa è, cit., pp. 28-29.
·         T. Sorgi, Dialogo e voto del cristiano (paper, archivio Movimento dei Focolari), Grottaferrata 1985, p. 2.
Su queste premesse, si precisano le linee della proposta: con l’adesione al Patto politico-partecipativo, l’eletto si impegna a dare «pubblico rendiconto dell’azione svolta, accettando di sottoporsi al controllo dell’elettorato e permettendo a questo di offrire un suo contributo permanente di collaborazione per attuare e aggiornare il programma», mentre gli elettori a loro volta si impegnano a continuare il dialogo con l’eletto, non per chiedere favoritismi, ma controllando e stimolando i suoi interventi politici. Rifiutando di sottomettersi ad una sorta di “abdicazione quinquennale”, eletti ed elettori possono decidere di organizzare spazi stabili di dialogo, inseriti nel tessuto sociale delle città, in cui gruppi di cittadini incontrano con continuità i loro rappresentanti politici.
In un altro testo, Sorgi considera la necessità per il cittadino di assumere l’iniziativa e svolgere col potere un dialogo, in cui il voto è solo la frase di un discorso più lungo e ampio , muovendo da una nuova «consapevolezza della propria sovranità, non come mito teorico ed utopia, ma come reale possibilità storica». In un momento in cui la struttura ideologica tradizionale dei partiti e alcune caratteristiche del sistema elettorale di tipo proporzionale avevano fatto sì che gli elettori delegassero sostanzialmente la scelta dei loro rappresentanti ai partiti , dando vita ad una sorta di eresia giuridica che non si è esitato a chiamare «sovranità partitica» , la parte svolta dai cittadini è del massimo rilievo, in un’azione «che deve precedere, accompagnare e seguire le elezioni» , puntando a dare 436 Votare non basta. Il patto eletto-elettore nella crisi democratica
·         T. Sorgi, Votare non basta, in «Città Nuova», 11 (1985), pp. 13-15.
·         T. Sorgi, Dialogo e voto del cristiano, cit., p. 2.
·         T. Sorgi, Votare non basta, cit., p. 14.
Secondo Gianfranco Pasquino, non è azzardato affermare che il potere dei governi italiani della cosiddetta “prima repubblica” sia dipeso dalle segreterie dei partiti e, in qualche caso, dai capi delle correnti al loro interno, per nessuno dei quali era riscontrabile la sussistenza di un qualsiasi mandato elettorale né la rispondenzaad una qualche forma di valutazione politica. Dato, inoltre, che i leader dei partiti raramente assumevano responsabilità istituzionali, ciò ha legittimato addirittura una loro “funzione negoziale” al di fuori del Parlamento;
·         cf. Mandato popolare e governo, il Mulino, Bologna 1995, p. 91.
·          A.M. Baggio, Eletti ed elettori, in «Città Nuova», 11 (1994), p. 48.
·          T. Sorgi, Per gli eletti triplice impegno, in «Avvenire», 31 marzo 1985, p. 11.
Continuità e sostanza alla democrazia formale anche nei giorni, mesi e anni successivi alla data delle elezioni.
Dovendo oggi misurarci con un macrosistema di relazioni dove poteri politici, economico-finanziari e mediatici si rafforzano a vicenda, colpisce come, più di vent’anni fa, venga evidenziata la profonda asimmetria che divide detentori del potere e cittadini:
«Votare isolati e colloquiare come singoli con i partiti e gli amministratori pubblici significa avere poca o nessuna possibilità di influire sull’andamento della comunità politica» 27. Per questo, la condizione richiesta agli elettori è di ricercare il dialogo non da soli, ma sostenuti reciprocamente dal legame associativo: «Qui nasce per il semplice cittadino l’assoluta necessità di aggregarsi in gruppi spontanei, capaci di condurre un dialogo efficace con i partiti e con gli enti pubblici. È il “sociale” che deve ergersi come interlocutore concreto verso il “politico”» 28 e promuovere «un’azione pubblicizzata, che crei opinione pubblica e costituisca una continua forza di pressione di vero stampo democratico», anche «in forme associative spontanee, libere, diverse dai partiti» .
Sorgi precisa, inoltre, che il contenuto del vincolo proposto ad eletto ed elettori è definito da tre profili caratterizzanti, riguardanti la scelta delle persone, l’impegno sui programmi e i metodi di governo, in modo tale che l’azione politica che prende avvio non si costruisca su intenzioni generiche, ma su contenuti definiti con trasparenza. Non si tratta di un dettaglio discrezionale o meramente simbolico: declinare il Patto sotto tre profili serve a qualificarlo maggiormente, dato l’uso ripetuto di questa parola come sinonimo di accordo e compromesso generico. Consideriamo distintamente le tre dimensioni: affermare un profilo etico del Patto significa che ad entrambe le parti viene richiesto un comportamento morale, dove il principio di fraternità universale impone di misurare ogni scelta politica esclusivamente sul bene comune:
con atteggiamento costruttivo e non pregiudizialmente antagonista
·         T. Sorgi, Dialogo e voto del cristiano, cit., p. 2.28 Ibid.
·         T. Sorgi, Votare non basta, cit., p. 15.


TRASPARENZA
Agli elettori è chiesto invece di non contrattare favoritismi individuali, di gruppo o di categoria; di perdere la misura stretta dei bisogni personali per ritrovarne la prospettiva corretta a confronto con i bisogni della comunità. C’è poi un profilo programmatico: nonostante la delega debba essere esercitata senza vincoli (stante il «divieto di mandato imperativo» che la dottrina costituzionalista ha formulato da tempo) e al rappresentante competa di scegliere in autonomia, i contenuti dell’azione politica devono comunque rispecchiare gli orientamenti ideali della o delle comunità che aderiscono al Patto. Il terzo profilo è quello democratico, volto a garantire l’incontro effettivo tra cittadini e rappresentanti, utilizzando le modalità e gli strumenti di comunicazione e di dialogo più idonei in modo che, accompagnando l’eletto nello svolgimento del mandato, «gli elettori possano esercitare una funzione di orientamento, di stimolo e di controllo.
Questo è l’impegno democratico previsto dal patto, che non limita le prerogative del rappresentante, ma ne garantisce le funzioni, stabilendo un vincolo morale forte, cui l’eletto si deve attenere»
PER TRACCIARE UNA TIPOLOGIA
A partire dal 1985, la proposta del Patto politico ha varcato la soglia di ambienti politico-istituzionali diversi. In molti casi, è stata rapidamente accantonata, definendo il suo appello come un incerto tentativo di recuperare il significato disperso della sovranità popolare. Altre volte, invece, la sua sfida democratica è stata raccolta con lucida determinazione e slancio. Oggi è possibile ritenere che, nel corso degli anni, l’idea del Patto sia stata diffusa tra alcune decine di migliaia di persone, 438 Votare non basta. Il patto eletto-elettore nella crisi democratica
·         A.M. Baggio, Eletti ed elettori, cit., p. 49; l’autore è tra quanti hanno maggiormente contribuito in questi anni a sviluppare l’analisi del Patto politico e a diffonderne la proposta.

Commenti