TASSE.....TASSE.....INEVITABILENTE TASSE......



ANCORA TASSE!
L’Italia ha il terzo più alto debito pubblico a livello mondiale, il nostro rapporto debito/Pil è fuori controllo, abbiamo una pressione fiscale ormai insopportabile e un’altissima disoccupazione (chi esce dal lavoro da adulto non ha possibilità di rientrarvi e chi non ha ancora un’occupazione ha poche speranze di trovarla. Eppure il presidente del consiglio continua a dirci che  va tutto bene. Ma – purtroppo – non è così. La retorica e la demagogia possono aver presa sugli ingenui, ma non reggono il confronto con i dati di fatto.
La deflagrazione del nostro debito pubblico che – secondo Bankitalia – a febbraio scorso ha infranto ogni record, giungendo a 2.169 miliardi di euro, la mancata attuazione delle riforme strutturali, mischiati all’emergere dirompente degli scandali che hanno coinvolto partiti e frammenti del mondo cooperativo (le tangenti di Mafia capitale che hanno interessato la Cooperativa 29 Giugno di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi; quelle della Cpl Concordia di Francesco Simone e Roberto Cesari che hanno portato all’arresto del sindaco di Ischia Giosi Ferrandino e di Procida Luigi Muro; quelle dell’Expo che hanno costretto alle dimissioni il ministro Maurizio Lupi) stanno portando l’Italia al fallimento.
Nonostante la crisi politica e morale che sta attraversando il paese, il presidente Renzi sostiene che non taglierà i trasferimenti statali ai comuni, che non aumenterà ulteriormente le tasse e che non crescerà la tassazione locale. Non sarà così. Basta chiederlo al sindaco Tagliani costretto, suo malgrado, ad accrescere la pressione fiscale locale al fine di mantenere accettabili i servizi pubblici destinati alle persone e alle imprese. Del resto, il governo sta predisponendo la nuova Local tax che sostituirà Imu e Tasi e che, di certo, accrescerà il prelievo fiscale dei comuni.
A proposito di nuove tasse è bene ricordare che, nel 2016 il governo dovrà tagliare 16 miliardi di euro di spese pubbliche perché, nel caso che non ci riuscisse, scatterebbero automaticamente le clausole di salvaguardia, ovvero si dovranno aumentare le aliquote Iva (fino al massimo del 25,5%) e le accise sui carburanti. A questa disgraziata ipotesi si aggiunge il tesoretto di 1,6 miliardi di euro sventolato da Renzi al quale non abbiamo mai creduto e che ora nessuno degna di attenzione. Basti pensare che neppure il commissario europeo per gli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, la ragioneria generale dello stato, diretta da Daniele Franco e Ignazio Visco, governatore di Bankitalia hanno platealmente censurato questo miracolistico tesoretto.
Nonostante la smaccata retorica del presidente del consiglio, dobbiamo dire che le condizioni economiche internazionali: il calo del prezzo del petrolio (quindi, del costo dell’energia); la riduzione del tasso di cambio euro – dollaro (da 1,36 a 1,05); la diminuzione dei tassi d’interesse bancari (ormai prossimi allo zero) dovrebbero aiutare l’Italia ad uscire dalla crisi. Eppure, le scelte di politica fiscale e del lavoro adottate da Renzi vanificheranno i vantaggi della congiuntura positiva: Il contratto a tempo “indeterminato a tutele crescenti”, sovvenzionato con un ricco sconto contributivo, pagato  da tutti i contribuenti, non aumenta la produttività del lavoro. Di conseguenza questa politica non favorisce certo la fragile imprenditorialità (e quella ferrarese in particolare). Inoltre la politica fiscale inerente l’Irap ha trascurato il costo che essa rappresenta per il terziario avanzato. Questi oneri vanno a danno della ricerca, inducendo i giovani più capaci a trovare un’occupazione all’estero.
C’è, inoltre da rilevare che la tassazione patrimoniale (Imu e Tasi) sulla casa ha scoraggiato gli investimenti nel settore immobiliare, arrecando danno, però, anche l’industria dell’arredamento e degli elettrodomestici. Nonostante l’acquisto di elettrodomestici preveda, per l’acquirente, un credito d’imposta e l’acquisto dell’auto no, rileviamo che il primo settore è in crisi e l’altro no. Perché? Semplice, perché mentre la domanda nazionale e internazionale dell’auto adotta contratti di lavoro simili a quelli della Fiat Chrysler Automobiles (FCA), quella degli elettrodomestici è ancora legata alla contrattazione sindacale nazionale. Nonostante la retorica, l’occupazione non si crea per decreto, né organizzando “tavoli”, ma adottando processi di liberalizzazione e di riduzione della pressione fiscale. 

Alberto Cavicchi
Centro studi economici e sociali “Luigi Einaudi” – Ferrara  

Commenti