BEN TORNATI DALLE FERIE A TUTTI . . . . .
Coesione e strategia unica per tenere a
bada lo spread
Il ministro Paolo Savona (Il Sole 24Ore
del 18 agosto) ha annunciato l’intenzione del governo di “spingere” la crescita
nel 2019 fino al 2%, da un tendenziale inferiore all’1 per cento. Lo strumento
utilizzato sarebbe la rinuncia al “consueto trattamento statico” dei parametri
europei di finanza pubblica, “in linea con la più elementare teoria economica”.
Questa impostazione, e il relativo dibattito, meritano di essere illustrati con
tre scenari in funzione delle politiche di bilancio che si adotteranno.
Ipotizzando l’inflazione costante
all’1,8%, nel primo scenario (S1) la politica di bilancio in linea con gli anni
passati riduce il rapporto deficit/Pil di circa 0,2% di Pil all’anno: l’effetto
è una crescita costante pari all’1% e una lenta discesa del debito pubblico e
della disoccupazione.
In S2 - che ricalca un’equilibrata
proposta di La Malfa per una politica economica espansiva ma “senza fughe in
avanti” (Corriere del 5 agosto) - si introducono investimenti pubblici
addizionali pari al 2% del Pil all’inizio del 2019: il deficit sale al 4,1 per
cento. Con quali effetti? Se gli spread restano invariati, data l’ampia
disoccupazione di fattori produttivi (lavoratori, capannoni, capitali a basso
costo) sarebbe lecito ipotizzare una forte reazione dell’economia; inoltre
Savona ci ricorda che esistono “più moltiplicatori in funzione della spesa
effettuata”; e che il governo selezionerà quelle con moltiplicatore elevato. Ma
anche un’ipotesi prudente di moltiplicatore medio = 1 genera una crescita del
3,1%, e una forte caduta del debito/Pil; l’aumento del Pil è tale da
sopravanzare quello del debito.
Nel 2020, benché si ipotizzi il ritorno
a una politica di bilancio neutra, l’extra gettito fiscale maturato nel 2019
riporta il deficit al 3,3%. Inoltre, si ipotizza che la forte crescita del
2019, il successivo miglioramento del deficit, e la caduta della disoccupazione
sotto il 9,5% generino un piccolo miglioramento (ipotesi minimalista) delle
aspettative, dei consumi, e della crescita tendenziale da 1% a 1,2%: e del deficit
(da 3,3% a 3,2%). La discesa del debito rallenta (un effetto sottolineato da
Cottarelli e Galli, Corsera 8 agosto), risultando nel 2022 più alto che in S1.
Dal 2021, all’aumento progressivo dei
consumi si sommano gli investimenti delle imprese private, sostenuti dal
classico “effetto acceleratore”, che alzerebbero la crescita (ipotesi prudente)
all’1,5% se non fosse per la politica di bilancio ora restrittiva che la
riporta all’1,2%, in cambio di riduzioni del deficit più rapide. Del deficit
infatti c’è sempre meno bisogno: è la spesa privata ora, non magici effetti di
offerta, a sostenere l’economia. In particolare, la disoccupazione bassa e
calante rende meno “rischioso” perdere il lavoro e meno improbabile trovarlo,
il che riduce la paura di spendere. Dal 2025 il bilancio pubblico va in attivo
(0,5% del Pil) e le condizioni finanziarie e sociali del Paese sono molto
migliori che in S1.
La stabilità degli spread richiede un
accordo preventivo con l’Europa. Se invece i mercati finanziari dubitassero della
disponibilità della Bce a fare il suo mestiere (le banche centrali sono nate
per fare da prestatore di ultima istanza) con l’Italia, gli spread potrebbero
salire. Con quali effetti? In S3 - scenario della “fuga in avanti” - si
ipotizza che, a causa di tensioni con ’'Europa, gli spread salgano di 200 punti
base nel 2018-19. In conseguenza, i deficit del 2019 e 2020 sono più alti, i
tassi di crescita più bassi, e nel 2026 il debito/Pil è più alto.
Si tratta pur sempre di uno scenario
sostenibile, che potrebbe tentare il governo (disoccupazione minore che in S1).
Tuttavia quando gli spread salgono è difficile sapere dove si fermeranno;
inoltre l’impatto sulla crescita potrebbe essere più negativo di quanto qui
ipotizzato. Lo Scenario 3 è instabile, scommetterci sarebbe un azzardo.
Per combattere le depressioni
economiche la gestione delle aspettative è fondamentale. La crisi è stata
avviata da un panico sui mercati finanziari e reali: il compito della politica
economica è di rassicurare, riportando la spesa privata di famiglie e imprese a
livelli coerenti con la capacità produttiva del paese. Ma le aspettative e i
consumi non migliorano con l’austerità e le riforme strutturali, bensì
riavviando la crescita, l’occupazione, i redditi bassi, la sicurezza del posto
di lavoro. C’è un tempo per ogni cosa sotto il sole: l’austerità è assai più
efficace quando il Pil è elevato e in crescita; “le finanze pubbliche sane sono
un valore universale, ma perseguibile con diverse strategie” (Dani Rodrick).
Rilanciare la crescita in modo sostenibile sarebbe il vero “cambiamento”, non
il tirare da tutte le parti una coperta ancora troppo corta.
Ma finché siamo nell’euro, come
sottolinea Giorgetti, è inevitabile scendere a patti con la Bce. Per negoziare,
l’impegno all’austerità quando l’occupazione si sarà ripresa dev’essere
credibile. Ciò implica una forte coesione della maggioranza intorno al premier
e al ministro dell’Economia, e un’unica strategia negoziale, evitando le
rodomontate contro l’Europa che fanno salire gli spread.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti
Posta un commento
risponerò appena possibile