Riecco il club di quelli che «il gender non c'è»

Per san Giovanni Paolo II, con la teoria del gender siamo di fronte a «una nuova ideologia del male, forse più insidiosa è più occulta, che tenta di sfruttare contro l’uomo e contro la famiglia anche i diritti dell’uomo» (Memoria e identità, 2005, p. 30). Secondo Benedetto XVI, «oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentata una nuova filosofia della sessualità», di una «profonda erroneità». Si tratta della più grave sfida alla società e alla Chiesa, perché «è in gioco l’uomo stesso» (Discorso per gli auguri natalizi alla Curia Romana, 21 dicembre 2012). Per papa Francesco occorre contrastare «quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che fa tanta confusione» (Incontro con i giovani, Napoli, 21-3-2015): una «colonizzazione ideologica», che «ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani» (Ai partecipanti al Colloquio internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna, 17-10-2014).

Tre Pontefici, secondo un piccolo numero di intellettuali e di burocrati italiani, si sarebbero tanto preoccupati di qualcosa che non esiste. «La teoria del gender non esiste», ha sostenuto l’Ordine degli Psicologi del Lazio in un comunicato del 19 giugno 2015, spalleggiato da altri regionali e da quello nazionale. Il gender «è un concetto creato dall’estrema destra religiosa (soprattutto Opus Dei e lefevriani [sic])» secondo Wikipink, l’enciclopedia gay online. Per altri, è un’invenzione del Vaticano. Oggi, 23 novembre all’Università di Torino il coordinamento Lgbt Torino Pride e altre organizzazioni promuovono un convegno "A scuola insieme!" inteso a contrastare "la menzogna" secondo cui esiste una teoria del gender. Stupisce che l’Università presti le sue aule per una tale iniziativa. Stupisce meno – o stupisce solo chi crede alla «moderazione» di questo partito – che vi partecipino esponenti del Pd, tra cui l’onorevole Campana e la senatrice Puglisi.

Dal punto di vista culturale, la questione appare perfino un po’ buffa. È una polemica strana, quasi soltanto italiana: in inglese si parla di gender theory da decenni e tutti capiscono che cosa s’intenda. Naturalmente non ha torto chi sostiene che non esiste una sola teoria del gender, ma diverse. Né ci si deve allarmare ogni volta che ci si trova di fronte alla parola gender. Ci sono gender studies accademici che vogliono semplicemente studiare i ruoli diversi di uomini e donne nella società e nella cultura. Ma il tema è più complesso.

Come aveva intuito Benedetto XVI nel discorso del 21 dicembre 2012, il problema di fondo riguarda la Creazione. Il mondo è pieno di cose meravigliose. Ma ci sono anche il male, la sofferenza, la morte. Può un Dio buono avere creato un mondo dove c’è tanto male? Il cristianesimo dà la risposta a questa domanda: Dio ha creato il mondo buono, il male è venuto dal peccato dell’uomo. Fin dai primi secoli, al cristianesimo si contrappone lo gnosticismo, per cui invece un Dio buono non può avere creato un mondo così cattivo. Il mondo non è stato creato da Dio, ma da una divinità minore malvagia o incapace, il Demiurgo. Che c’entra il gender? Per molti gnostici il segno principale che il mondo è stato creato da un dio minore, malvagio o pasticcione, è la differenza sessuale fra uomo e donna: uno sbaglio e qualcosa che non ci dovrebbe essere. L’uomo ideale dovrebbe essere “androgino”, né uomo né donna o meglio con le caratteristiche di entrambi i sessi, che potrebbe poi sviluppare come vuole.

I Padri della Chiesa sconfiggono lo gnosticismo, che alla fine del quarto secolo è pressoché sparito. Ne riappaiono tracce in eresie medievali come quella dei Catari. Con l’indebolirsi del cristianesimo e la nascita della modernità, ritornano nel Rinascimento teorie gnostiche, compreso il mito dell’androgino e l’idea che la differenza sessuale è cattiva. Una tradizione esoterica che inizia con il Rinascimento si manifesta più tardi anche nella letteratura. Nell’Ottocento, il romanziere francese Honoré de Balzac (1799-1850) ci presenta in Séraphîta (1834) un essere androgino che sceglie di volta in volta se essere maschio (Séraphitus) o femmina (Séraphîta). È l’essere perfetto, che alla fine ascende al cielo. Lo storico anticlericale Jules Michelet (1798-1874) nel suo influente libro La strega (1862) sostiene che le streghe furono perseguitate perché, tra l’altro, rivendicavano la libertà di scegliere la loro identità come uomini o donne. In effetti, secondo Michelet, molte di loro erano lesbiche.

Non si tratta solo di letteratura. L’americana Margaret Sanger parte dalla teoria gnostica secondo cui la distinzione uomo-donna e la generazione tramite il parto sono degenerazioni rispetto all’androgino originario per lanciare una grande campagna di propaganda dei metodi anticoncezionali. Questi sono, afferma, il primo passo per permettere alle donne, liberandole dal ruolo di madri, di scegliere che cosa vogliono essere. Perché i sogni esoterici e gnostici potessero pensare di diventare realtà, mancava un passaggio ulteriore: interventi medici, psicologici e chirurgici che promettessero di trasformare gli uomini in donne, e viceversa. A questo si arriva nel secolo XX.  Un’iniziativa cruciale è la Clinica per l’Identità di Genere, fondata nel 1965 alla prestigiosa Johns Hopkins University di Baltimora dallo psicologo e sessuologo neozelandese John William Money.

Nel 1972 Money annuncia al mondo, nel libro scritto in collaborazione con Anke Ehrhardt – oggi vice-rettore per le questioni accademiche della Columbia University di New York – Uomo e donna, ragazzo e ragazza, che la teoria secondo cui l’identità di uomo o donna deriva dall’educazione molto più che dal dato biologico è stata ora definitivamente provata mediante casi clinici concreti. Money si riferisce al caso dei gemelli Brian e Bruce Reimer. Vittima di una circoncisione eseguita male, e con gli organi maschili compromessi, sotto la guida di Money a ventidue mesi Bruce è operato. I suoi testicoli sono amputati e gli è costruita una vagina artificiale. Ai genitori è raccomandato di chiamarlo Brenda e di vestirlo e trattarlo come una bambina, mentre Money lo riempie di ormoni femminili. Per Money il caso di Bruce, diventato Brenda, che nasconde sotto lo pseudonimo di John/Joan, è la prova della sua teoria del gender. Un uomo educato come una bambina, con adeguati aiuti medici e chirurgici, è diventato una bambina, mentre il gemello Brian, educato come un maschio, è invece rimasto maschio. Per oltre vent’anni le teorie di Money sono insegnate in numerose università.

Nel 1994 un professore di anatomia all’Università delle Hawaii, Milton Diamond, scopre l’identità di “John/Joan” e intervista Reimer. Fin dall’adolescenza il ragazzo ha rifiutato la sua identità femminile di Brenda. A sedici anni – dopo che i genitori gli hanno detto la verità – si è sottoposto a un’operazione per la ricostruzione del pene e ha cambiato nome in David. In seguito, si è sposato. L’inganno è svelato, ma Money mantiene le sue cariche accademiche. Per Bruce Reimer, diventato Brenda e poi David, non c’è invece nessun lieto fine. Per primo si suicida il fratello gemello Brian, nel 2002. Nel 2004, dopo che la moglie gli ha comunicato che intende separarsi, David, a 38 anni, si spara in testa. La tragedia di Bruce/Brenda/David mostra precisamente che cos’è la teoria del gender e a quali disastri porta. È la teoria secondo cui il sesso biologico, cioè i caratteri sessuali maschili o femminili con cui siamo nati, non è decisivo. Uomini o donne si diventa grazie all’educazione, e il genere alla fine può essere liberamente scelto, secondo l’antico sogno gnostico.

Smascherata come una mistificazione scientifica con il caso Money, la teoria del gender non arretra e acquista il suo nome e la sua fondazione intellettuale tramite filosofi e scrittori. La filosofa francese Simone de Beauvoir lancia nel 1949 lo slogan che è all’origine della prima versione della teoria contemporanea del gender: «Donne non si nasce, ma si diventa». Simone de Beauvoir è decisiva per la storia del gender perché teorizza la distinzione fra “sesso” biologico e “genere” culturale. Una donna nasce con un corpo di donna (sesso biologico) ma acquisisce il genere donna (culturale) perché fin da bambina è vestita ed educata in un certo modo dai genitori. La Beauvoir rivendica invece il diritto di scegliere liberamente il proprio genere, a prescindere dal sesso anatomico.

La teoria del gender diventa popolare in Francia con il movimento del 1968. Alla Sorbona nasce un collettivo intorno a Monique Wittig, importante per il collegamento fra gender e omosessualità. Solo l’esperienza delle lesbiche permette, scrive la Wittig, di «distruggere la donna» in quanto tale: «“donna” ha un significato solo nei sistemi eterosessuali di pensiero e nei sistemi economici eterosessuali. Le lesbiche non sono donne». Con un tocco di marxismo, aggiunge che «la lotta di classe tra donne e uomini abolirà gli uomini e le donne». Scrive la Wittig: «I bambini quando nascono sono distinti per sesso. Questo serve allo scopo sociale della riproduzione, ma sarebbe altrettanto ragionevole distinguerli sulla base della forma del lobo delle orecchie o, meglio ancora, non distinguerli affatto sulla base dell’anatomia».

La filosofa statunitense Judith Butler inaugura negli anni 1980 una seconda generazione di teorie del gender. La Butler vuole superare la tradizionale visione della persona umana come composta di corpo e mente. La mente è un semplice «modo di vivere il corpo». Ma neppure il corpo, propriamente, esiste. «Non più compreso nel suo senso filosofico tradizionale di “limite” o “essenza”, il corpo è un campo di possibilità interpretative». In effetti «il corpo come fatto naturale non esiste davvero all’interno dell’esperienza umana, ma ha un qualche significato solo come stato che si è superato».

Qui sta propriamente il cuore della teoria del gender: se il corpo si «porta» come un vestito, e il «modo di portarlo» è più decisivo del vestito, allora «non solo il gender non è più dettato dall’anatomia, ma l’anatomia non sembra più porre alcun limite necessario alle possibilità del gender». «L’anatomia presa da sola», continua la Butler, «non ha di per sé alcun significato»: «il genere è meno una funzione dell’anatomia che uno dei suoi possibili usi». La de Beauvoir, conclude la Butler, ha fondato una prima teoria del gender distinguendo fra sesso e genere. Ma la sua era ancora una prima versione incompiuta. La Butler propone una seconda versione, dove la stessa distinzione fra sesso e genere non è più necessaria perché il sesso è smascherato come “mito” inventato dalle religioni e scompare, riassorbito totalmente nel gender.

Simone de Beauvoir parlava del “secondo sesso”, implicando che ci siano due sessi, gli uomini e le donne. Ma se si nega un’esistenza indipendente al sesso e lo si riassorbe nel gender, afferma la Butler, i presunti “sessi” – in realtà semplici maschere o declinazioni del gender – non sono più due, ma tre, venti, cinquanta, infiniti, includendo omosessuali, bisessuali, transgender, cross-gender …. E il passaggio dalla prima alla seconda versione della teoria del gender è anche “politico” perché tutte queste categorie rivendicano uguali diritti e riconoscimenti dallo Stato.

Rimane un ultimo passaggio. Nel XXI secolo la teoria del gender diventa, per usare l’espressione di papa Francesco, una «colonizzazione ideologica»: una dittatura, imposta da organizzazioni internazionali e Stati in innumerevoli documenti e inculcata in scuole trasformate in «campi di rieducazione» ideologici (All’Ufficio Internazionale Cattolico per l’Infanzia, 11-4-2014). Le scuole del mondo intero sono invase da proposte sul gender, libri, giochi dove i bambini sono invitati a vestirsi da bambine e viceversa, spettacoli. A chi protesta è risposto che la teoria del gender non esiste. Senza scomodare il Diavolo, di cui si è detto che il migliore inganno consiste nel far credere che non esiste, a sostenere di non esistere ci ha provato per anni anche la mafia. Ora ci riprovano i teorici del gender, con il timbro dell’Ordine degli Psicologi, del Pd e dell’Università di Torino.

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