L'Italia perde l'ultima "A": retrocessi anche da Dbrs
I timori di allora, legati essenzialmente all'esito del referendum costituzionale, alla fragilità delle nostre banche e all'abulica ripresa, sono stati la «mano» che ha fatto calare la scure: «L'azione sul rating - ha spiegato Dbrs - riflette una combinazione di fattori che includono l'incertezza sull'abilità politica di sostenere lo sforzo per la riforma strutturale e la continua debolezza del sistema bancario, in un periodo di crescita fragile».
Quadro insomma complessivamente critico sotto il profilo economico, reso ancor più complicato dallo scenario che si va profilando dopo la caduta di Matteo Renzi, dall'incerto destino del governo Gentiloni (che ha «meno spazio per l'azione decisionale limitando in questo modo le prospettive economiche»), dalla nebulosa che avvolge la nuova legge elettorale («difficile che le nuove elezioni si tengano prima dell'autunno di quest'anno») e dal livello delle sofferenze bancarie che «resta molto alto» malgrado le misure prese. In più, c'è il macigno del debito che «continua a limitare la flessibilità finanziaria del Paese, ostacolando l'attività economica». Tutti sintomi di instabilità, i peggiori agli occhi di coloro che - comunque non sempre in modo impeccabile - muovono i fili ad alta tensione dei rating. Ciò che più conta sono però le conseguenze della retrocessione tricolore in serie B. Il Tesoro si è subito premurato di rassicurare che il downgrade «non avrà impatti rilevanti sulla spesa per interessi sul debito pubblico», anche se «potrebbero esserci degli effetti sui titoli più a breve. Ma questo», si osserva, «si potrà dire soltanto nei prossimi mesi». Eppure, qualche effetto collaterale c'è. Per quanto semi-sconosciuta, Dbrs fa parte del quartetto di società di classificazione internazionale (le altre sono, ovviamente, S&P, Moody's e Fitch) usato dalla Bce per calcolare il livello di rischio sui titoli di Stato che le banche danno in garanzia (i cosiddetti collaterali) all'istituto di Francoforte in cambio di prestiti. Ebbene, l'istituto guidato da Mario Draghi pretende che il Paese che ha emesso gli asset offerti in garanzia abbia almeno una «A». Una condizione che l'Italia adesso non ha più e che comporta una trattenuta (tecnicamente si chiama haircut) sul valore dei bond dati in garanzia. In pratica, occorrerà un maggior ammontare di collaterale per ottenere la stessa liquidità che si sarebbe ricevuta prima del declassamento.
Calcolare l'aggravio non è semplice. L'haircut, al momento limitato allo 0,5%, salirà al 6% per i titoli a un anno; dall'1% al 7% per i triennali; dall'1,5% al 9% fino a 5 anni, dal 2% al 10% fino a 7 anni, dal 3% all'11,5% fino a 10 anni e dal 5% al 13% oltre i 10 anni. Una lievitazione a prima vista non da poco. Tuttavia, secondo la Banca d'Italia, l'effetto sulle banche non sarà particolarmente pesante. Il motivo? I nostri istituti fanno un uso limitato di titoli del debito pubblico nelle operazioni con la Bce. In base agli ultimi dati di via Nazionale, è infatti solo il 32,5% la quota di bond rispetto al totale degli asset depositati in Bankitalia per un eventuale impiego presso la stessa Bce. A parità di richiesta, alcuni calcoli collocano attorno ai 5 miliardi di euro in più le garanzie da presentare. Insomma, nulla di drammatico. Ma la perdita dell'ultima «A» brucia.
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Italia, Fitch: lettera commissione Ue evidenzia pressioni su bilancio
MILANO (Reuters) - La lettera della Commissione europea che chiede ulteriori misure di riduzione del deficit da parte del governo italiano evidenzia le pressioni competitive che i Paesi devono fronteggiare nella riduzione dell'elevato stock di debito, dice Fitch Ratings.
"Un debito così elevato, ben sopra la mediana del range per la valutazione 'BBB' pari a circa il 40% (del Pil), lascia l'Italia esposta a possibili shock negativi e limita gli spazi per politiche fiscali anti-cicliche", dice la nota Ficth.
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