LETTERA A BERLUSCONI MOLTO TOCCANTE....
Carissimo Silvio,
seduto in un caffè non posso che pensare a te… Passano gli anni ma ottanta son
lunghi e tu, ragazzaccio, ne hai fatta di strada. Scherzi canori a parte (sai
che sono molto ferrato in materia), domani, 29 settembre, è un gran giorno per te,
per la storia di molti di noi e anche dell’intero Paese. Anche di chi ti ha
sempre osteggiato e che tu hai costretto a una perenne e vana rincorsa,
guardando una spanna più avanti di tutti in quella frazione di tempo che
distingue, come nel calcio, i fuoriclasse dai calciatori comuni. Non vado oltre
nelle similitudini, perché questo mio messaggio di buon compleanno - ringrazio
il direttore Chiocci per avermelo chiesto - non vuol essere né un servo encomio
né un codardo oltraggio. Ma nessuno potrà mai cancellare l'intuizione grandiosa
della discesa in campo, lo sbaragliare in un baleno la fu gioiosa macchina da
guerra dei comunisti mai pentiti che stavano per acchiappare il potere: quel
'94 fu un secondo '48, e cambiò la storia restituendo legittimità e speranza a
un popolo orfano, disperso e smarrito: quel ventre sommerso d'Italia che tu hai
saputo vellicare e nobilitare, e dargli una guida.
Un'impresa
gigantesca, perché ha modernizzato la politica e la società viva, anche se poi
la politica ti ha imposto i suoi gioghi, i suoi riti bizantini, le eminenze
grigie del tutto cambia perché nulla cambi, e la tua Rivoluzione liberale è
rimasta incompiuta. Ma tu un rivoluzionario lo sei a tutto tondo, nel cuore e
nell'anima, e come gli eretici illuminati sei stato perseguitato con
scientifica ostinazione. Eppure, il rogo finale non sono riusciti ad
accenderlo, e mi chiedo come tu abbia fatto a resistere, resistere, resistere
senza mai pensare una sola volta di gettare la spugna. Anzi: nei momenti più
cupi eri proprio tu a fare coraggio a chi ti stava intorno. Chi come te ha
vissuto da protagonista, insieme ai Grandi del pianeta, il passaggio traumatico
dal secolo breve al nuovo millennio, la dura transizione dalle guerre fra le
classi e fra le razze a quella innescata da chi vuol trasformare una religione
in arma di distruzione, l'undici settembre e la depressione economica, la crisi
dei derivati e la concorrenza spietata dei Paesi emergenti, il nanismo europeo
davanti alle sfide globali, oggi dovrebbe vedere e capire che l'Italia - che i
burocrati di Bruxelles trattano come una mera appendice distesa sul
Mediterraneo - ora non ha bisogno di scontri all'arma bianca e di sterili
contrapposizioni, ma di una solida unità di intenti. Non dimentico la tempesta
perfetta del 2011, quello che tu hai sempre considerato un golpe di velluto, la
lettera della troika e l'assalto drogato al nostro spread per cacciarti da
Palazzo Chigi. Non dimentico neppure l'insensato attacco alla Libia a cui da
solo ti sei opposto davanti alle manie di grandezza di Sarkozy e alla
superficiale sconsideratezza di grandi alleati di piccolo cabotaggio che hanno
visto le primavere arabe come il sol dell'avvenire e provocato così il
cataclisma del Califfato.
Insomma, ricordo
nitidamente tutti quei passaggi drammatici. E mi chiedo spesso, di fronte ai
flussi migratori in atto - un fenomeno epocale a cui l'Europa risponde come se
fosse un'emergenza passeggera (come può uno scoglio arginare il mare?) quale
sarebbe l'approdo della tua guida. Tu che sei il decano del G8 e che, vivaddio,
non sei né Salvini né Grillo. Non posso nemmeno scordare - me lo consenta,
Cavaliere - la guerra spietata di chi ti ha sempre combattuto non con le armi
convenzionali della politica, ma con gli agguati giudiziari e la
delegittimazione eletta a sistema, nella convinzione che tu fossi un cancro da
estirpare (quelli che ora, per ironia e paradosso, sono schierati come mosche
cocchiere sulla strada del no, del tuo stesso no...). Per questo quando ti vidi
varcare la soglia del Nazareno accanto al nuovo leader dei tuoi avversari per
scrivere insieme la riforma costituzionale dopo che - grazie solo a te e al
fazzoletto spazzolato come un prestigiatore sulla sedia di Travaglio - nessuno
aveva vinto le elezioni, ebbi un sussulto di gioia. Mi sembrava una grande
rivincita, la nemesi perfetta di vent'anni di guerriglia civile, la plastica
dimostrazione che - alla faccia di tutto e di tutti - Berlusconi era ancora il
centro vitale della politica. Poi è andata come è andata, e ancora mi chiedo
perché. Di una cosa però sono fermamente convinto: non puoi chiedere ai tuoi
piccoli e ventennali nemici, che a differenza di te non avranno un solo rigo
sui libri di storia, di interpretare questi sentimenti, di guardare oltre il
proprio naso. Per come la vedo io, tocca per destino a chi è nato grande
ergersi sulle difficoltà e fare luce quando il buio è più fitto. Tocca a te,
Silvio.
Questo,
intendiamoci, non è né un appello né un consiglio, perché tu non hai certo
bisogno di consigli, e degli appelli te ne puoi infischiare. In tanti hanno
cercato di tirarti per la giacca, e hai sempre fatto di testa tua. Giustamente
e inesorabilmente. Il fatto è che, seduto in quel caffè, non ho ancora capito
se sono io ad aver sbagliato strada o se ancora una volta è incomprensibile la
tua grandezza. Sarà la storia a dirlo. Ho letto che non ti viene in mente
neppure un nome di un vero amico in politica. Una constatazione amara, ma
amicizia e politica, in effetti, sono come le convergenze parallele: destinate
a incontrarsi ma non si incontrano praticamente mai. La politica, si sa, ti
conduce a usare la testa, se ce l'hai, più dell'anima, se ce l'hai. Ho letto
anche che non vuoi doni, ma io ti regalo ugualmente un dubbio, un dubbio quasi
amletico: se il Nazareno lo avessi portato in fondo tu, sarebbe stato un bene o
un male per l'Italia? A te l'ardua sentenza, carissimo Presidente.
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