Senza un accordo con Silvio la sfida della Lega è perdente
Nessuno, neanche noi, avrebbe
scommesso un soldo sul futuro della Lega. Appena due anni fa, dopo le
dimissioni di Umberto Bossi in seguito allo scandalo Belsito, tutti
erano convinti che Alberto da Giussano avrebbe presto rinfoderato lo
spadone. Quando poi Roberto Maroni, da poco diventato governatore della
Lombardia, annunciò che si sarebbe fatto da parte per lasciar spazio ai
giovani, la sensazione fu quella di una generale smobilitazione.
Convinzione confermata appena si seppe che il posto sarebbe stato preso
da Matteo Salvini, cioè da un giovanotto noto per alcune uscite contro
gli extracomunitari ma a cui nessuno fino a prima aveva riconosciuto la
capacità di guidare un partito e per di più un partito in difficoltà.
E invece no, trascorso un anno dalla sua elezione al vertice di un movimento che pareva finito, ecco che la Lega sta meglio di prima. Anzi, forse sta come non era mai stata, perché anche ai tempi d'oro di Umberto Bossi il popolo padano non superava il dieci per cento e ora, secondo i sondaggisti più prudenti, sta già all'undici. (...)
E invece no, trascorso un anno dalla sua elezione al vertice di un movimento che pareva finito, ecco che la Lega sta meglio di prima. Anzi, forse sta come non era mai stata, perché anche ai tempi d'oro di Umberto Bossi il popolo padano non superava il dieci per cento e ora, secondo i sondaggisti più prudenti, sta già all'undici. (...)
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