Stato e cittadino, ha ragione Samorì

“Il prefetto de’ fero” de Roma vuole proibire tutto per il Giubileo: centurioni “antichi romeni”, risciò delle cooperative dei detenuti e bancarelle “befanifere” a Piazza Navona.
Poi, presumibilmente, partirà la caccia ai saloni di massaggi erotici. Così come accadde nel 2000 al Giubileo “ordinario” di Papa Woytila. Se da un lato puramente di astrattezza legalitaria si può anche convenire sulla necessità che la Capitale non sia sempre un bordello a cielo aperto per il turista, che però sotto sotto viene a visitarci anche per questo, tutto codesto poliproibizionismo dell’amministrazione comunale ai danni del singolo ieri mi ha fato venire in mente le sacrosante parole di Gianpiero Samorì alla presentazione di “Italia 2050 – La nostra Opinione”, il movimento poltico di cui è il presidente. Un discorso filosofico che mi ha molto colpito per la sua chiarezza. E che ben si è coniugato con l’intervento finale del direttore Arturo Diaconale, sulla possibilità di incidere già dalle prossime elezioni amministrative che in primavera coinvolgeranno 14 milioni di italiani, per far rinascere in qualche maniera il vessillo liberale, liberista e libertario che negli ultimi cinque anni era stato riposto prudentemente in soffitta. Dal centrodestra ormai alla disfatta.
Qui siamo ad un bivio: o lo Stato, come sta accadendo in Italia, vira verso “le vite degli altri” con lo slogan “vi intercetto tutti e così sia”, oppure il cittadino si riappropria della libertà. Che per le classi sociali più basse include anche la discutibile arte dell’arrangiarsi. Se noi proibiamo a gente che già vive borderline con la criminalità più o meno organizzata di fare mestieri umili ma che danno da mangiare, magari evadendo “quattro-soldi-quattro” di tasse, poi non lamentiamoci se questi “antichi romeni”, questi ex carcerati che guidano il risciò e queste cripto prostitute che nei massaggi dei finti centri estetici esercitano con qualche variante il mestiere più antico del mondo, finiranno di nuovo dritti dritti nelle mani della criminalità organizzatissima.
La stessa che con i soldi del proibizionismo più importante e tragico, la droga, ha messo su un impero finanziario enorme che ormai entra in tutte le grandi banche mondiali. E non c’è solo questo: il problema di un Paese che candida magistrati a sindaci, a Premier, un po’ a tutto, che crede che si possa governare una nazione come una caserma dei carabinieri, senza nulla togliere al valore della magistratura e al suo ruolo costituzionale, così come alla polizia o alla Benemerita, si candida a diventare il primo Stato di polizia dell’ex Europa occidentale.
E la nascita e lo sviluppo di un partito come i Cinque Stelle, che nella confusione programmatica una sola cosa ha chiara, lo slogan più manette per tutti, sta lì a dimostrare la concretezza di questo rischio. Un partito che ha boicottato la nomina di Rita Bernardini a Garante dei detenuti per l’Abruzzo perché “non ha la fedina penale pulita”, fingendo anche ipocritamente di non sapere che se l’era “sporcata” con azioni di disobbedienza civile come la distribuzione di hashish a piazza Navona insieme a Marco Pannella, è il paradigma di questo stato di cose.
Di più: un quotidiano come “la Repubblica”, che fa saltare la candidatura del costituzionalista Augusto Barbera alla Consulta in quota Pd, perché quest’ultimo un paio di anni fa è stato intercettato mentre parlava al telefono con un indagato di un’inchiesta a Bari sulle cattedre facili tramandate da padre in figlio, diventa non un baluardo della libertà di stampa, ma il più o meno inconsapevole organo di comunicazione autoritario di un regime illiberale in cammino verso il potere assoluto.
Può la sola fedina penale essere l’unico discrimine per tutto, in politica e nelle istituzioni? Io dico di no, anche se è ovvio che non può tornare a fare l’assessore o il consigliere regionale o il deputato o il ministro chi abbia riportato una condanna definitiva per reati contro la Pubblica amministrazione. Ma un Paese in cui chi deve assegnare un appalto o chi deve aggiudicarselo vada prima a chiedere il permesso all’Anac di Cantone o alla Procura della Repubblica della propria città è un Paese da incubo. Un Paese che demonizza i ricchi presumendo che se hanno soldi all’estero questi derivino sempre da evasione fiscale è uno spicchio di Corea del Nord in Europa. Un Paese dove la redistribuzione economica avviene impoverendo i ricchi o il ceto medio e non arricchendo le classi più basse è un lager a cielo aperto.
Quello che si sta preparando in Italia con il pensiero unico dei talk-show, dall’ex Santoro a Gabanelli passando per Floris e tutti i moralisti de “La7” è, per l’appunto, questo. Ha ragione Samorì, dunque, quando dice che ormai non c’è più la distinzione tra destra e sinistra, ma quella tra libertari e forcaioli. E ce ne stanno distribuiti equamente e statisticamente in tutti gli schieramenti politici. Persino tra i grillini.
Ecco, io spero che il movimento nascente di “Italia 2050 – La nostra opinione” riuscirà a dare il coraggio della parola a quanti oggi devono stare quasi nascosti per non venire linciati in tv o sui giornali dai sacerdoti di questo pensiero unico anti-libertario, forcaiolo ed elitario che sta portando il Paese a venire governato da sceriffi, magistrati e commissari, indirizzando le ricchezze rapinate con tasse e vessazioni al ceto medio verso i grand commis dello Stato e le elite bancarie che ormai detengono anche la proprietà dei maggiori quotidiani. Che peraltro, guarda caso, hanno meno della metà della metà dei lettori e dei compratori di appena dieci anni orsono. Speriamo che ci siano la forza, il coraggio e i soldi per far nascere un mezzo di comunicazione che contrasti questo pericolosissimo andazzo. E che aiuti questa rivoluzione libertaria preconizzata dagli illuminati interventi di Arturo Diaconale e Gianpiero Samorì.
@buffadimitri

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