La fiducia smarrita.......................... COMMENTO DEL PROF. SAMORI' A FRONTE DI ARTICOLO SU IL SOLE 24 ORE
Dare una casa in affitto è ancora un buon affare? A prima vista, vien
da dire di sì, almeno guardando i migliori tra i rendimenti netti
calcolati dal Sole 24 Ore del lunedì.
Dopotutto, livelli medi di ritorno sul capitale tra l'1,78 e il 2,61% - al netto di imposte e spese, e senza considerare il rischio di morosità - non sono male di questi tempi. Ma ci sono altri aspetti che aiutano a capire perché gli italiani non stiano correndo a comprar case da affittare.
Dopotutto, livelli medi di ritorno sul capitale tra l'1,78 e il 2,61% - al netto di imposte e spese, e senza considerare il rischio di morosità - non sono male di questi tempi. Ma ci sono altri aspetti che aiutano a capire perché gli italiani non stiano correndo a comprar case da affittare.
Secondo gli ultimi dati, ci sono 2 milioni di proprietari “persone
fisiche”, cioè privati, che concedono in affitto 2,7 milioni di
abitazioni. È un popolo di risparmiatori, che spesso non si muove
analizzando le percentuali di rendimento, ma cogliendo i segnali che
definiscono lo spirito del momento.
Il primo segnale – chiarissimo – è l'aumento delle tasse. Certo, nel 2011 ha debuttato la cedolare secca. Ma poi è arrivato lo shock dell'Imu, e la pressione fiscale è sempre cresciuta. Basta vedere la progressione dell'aliquota media sulle case locate nei capoluoghi, rilevata dal Caf Acli: 9,49 per mille nel 2012, poi 9,62 per mille l'anno seguente e 10,35 per mille nel 2014 con l'arrivo della Tasi accanto all'Imu. Senza dimenticare la riduzione dal 15 al 5% della deduzione forfettaria per gli affitti in tassazione ordinaria.
Il secondo segnale è la diminuzione dei canoni, accompagnata dall'esplosione della morosità. Tra gli indicatori giudiziari di crisi, il numero degli sfratti per morosità è quello che è salito di più negli ultimi quattro anni: +46% tra il 2011 e il 2014 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 5 gennaio). Da una parte ci sono famiglie di inquilini in forte difficoltà economica. Dall'altra c'è sempre maggiore prudenza nella selezione dei conduttori, periodi più lunghi in cui la casa resta sfitta e timore di dover anticipare le imposte su affitti non incassati.
Il primo segnale – chiarissimo – è l'aumento delle tasse. Certo, nel 2011 ha debuttato la cedolare secca. Ma poi è arrivato lo shock dell'Imu, e la pressione fiscale è sempre cresciuta. Basta vedere la progressione dell'aliquota media sulle case locate nei capoluoghi, rilevata dal Caf Acli: 9,49 per mille nel 2012, poi 9,62 per mille l'anno seguente e 10,35 per mille nel 2014 con l'arrivo della Tasi accanto all'Imu. Senza dimenticare la riduzione dal 15 al 5% della deduzione forfettaria per gli affitti in tassazione ordinaria.
Il secondo segnale è la diminuzione dei canoni, accompagnata dall'esplosione della morosità. Tra gli indicatori giudiziari di crisi, il numero degli sfratti per morosità è quello che è salito di più negli ultimi quattro anni: +46% tra il 2011 e il 2014 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 5 gennaio). Da una parte ci sono famiglie di inquilini in forte difficoltà economica. Dall'altra c'è sempre maggiore prudenza nella selezione dei conduttori, periodi più lunghi in cui la casa resta sfitta e timore di dover anticipare le imposte su affitti non incassati.
Il terzo segnale è la diminuzione delle quotazioni immobiliari, che
ha scavato crepe profonde nel vero pilastro su cui si è sempre fondato
ogni investimento popolare nel mattone, al di là del canone mensile. Se
vacilla la certezza della rivalutazione dell'immobile, il risparmiatore
medio guarda all'acquisto della casa come alle azioni di Wall Street:
prospettive interessanti, magari, ma con l'incognita che il cambio
rovini tutto.
Al calo delle prezzi si è poi accompagnato il crollo delle compravendite, ridotte a poco più di 400mila rispetto alle 869mila del 2006, anche per la stretta delle banche sui mutui. E così è venuta meno un'altra delle convinzioni granitiche degli italiani: la possibilità di vendere l'immobile in caso di bisogno, velocemente e a un buon prezzo. La crescita dei depositi bancari mostra esattamente che in tempi di incertezza molti risparmiatori preferiscono “restare liquidi”, come si dice in gergo.
Naturalmente, esistono anche buone ragioni per investire in immobili, se non altro perché molti dei cattivi segnali descritti fin qui potrebbero valere anche per le altre asset class. Ma il clima è questo da qualche anno, e ormai ha un po' incrinato la storica fiducia degli italiani nel mattone. Ecco perché, nel bene e nel male, ogni tentativo di rimettere in moto la fiducia non può trascurare il modo in cui il popolo dei proprietari guarda all'investimento immobiliare.
------------------Al calo delle prezzi si è poi accompagnato il crollo delle compravendite, ridotte a poco più di 400mila rispetto alle 869mila del 2006, anche per la stretta delle banche sui mutui. E così è venuta meno un'altra delle convinzioni granitiche degli italiani: la possibilità di vendere l'immobile in caso di bisogno, velocemente e a un buon prezzo. La crescita dei depositi bancari mostra esattamente che in tempi di incertezza molti risparmiatori preferiscono “restare liquidi”, come si dice in gergo.
Naturalmente, esistono anche buone ragioni per investire in immobili, se non altro perché molti dei cattivi segnali descritti fin qui potrebbero valere anche per le altre asset class. Ma il clima è questo da qualche anno, e ormai ha un po' incrinato la storica fiducia degli italiani nel mattone. Ecco perché, nel bene e nel male, ogni tentativo di rimettere in moto la fiducia non può trascurare il modo in cui il popolo dei proprietari guarda all'investimento immobiliare.
COMMENTO DEL PROF. SAMORI' :
Per superare la crisi dell’edilizia e del mercato immobiliare occorrono
politiche volte a favorire la riqualificazione degli immobili e
l'abbassamento delle tasse. Il resto, come si può ben vedere, è
un'inutile toppa a un buco che ben presto diverrà voragine.
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risponerò appena possibile