MI SA CHE SIAMO ALLA FRUTTA....
Il Rapporto, confermando il Pil 2019 a -0,2% e il deficit al 2,5%, chiede di abrogare quota 100. Il nodo non è più la correzione, ma mettere mano subito alla manovra 2020.
Per l’Ocse l’economia italiana è “ufficialmente in stallo, ferma al 2000”. Dopo anni di “ripresa modesta”, ora la crescita dell’Italia “si sta indebolendo”, tanto che nel 2019 “il Pil dovrebbe registrare una contrazione dello 0,2% e un aumento dello 0,5% nel 2020. La politica di bilancio espansiva e una debole crescita faranno lievitare il disavanzo delle finanze pubbliche, che passerà dal 2,1% del Pil nel 2018 al 2,5% nel 2019”. L’ennesima gelata sulle prospettive della nostra economia e l’ennesimo allarme sulla tenuta della nostra finanza pubblica – subito respinte al mittente da Conte, Di Maio, Salvini e Tria – arrivano dalle stime aggiornate del Rapporto sull’Italia. Rapporto che non esita a bocciare le due misure cardine del governo giallo-verde: da un lato, l’Ocse chiede di abrogare le modifiche introdotte da quota 100, che “ridurrà la crescita nel medio periodo, peggiorerà la disuguaglianza intergenerazionale e aumenterà il debito pubblico”; dall’altro, si sottolinea che il reddito di cittadinanza, che pure “punta giustamente ad aiutare i poveri”, produrrà “benefici in termini di crescita che saranno probabilmente modesti, specialmente nel medio termine”, favorendo l’emergere di economia informale e lavoro nero. “I dati Ocse – osserva Mario Baldassarri, presidente del centro studi EconomiaReale – confermano quanto già due mesi fa aveva detto il nostro Rapporto: la crescita sta a zero, il deficit supera il 2,5% e soprattutto si prospetta per il 2020 un anno tra Scilla e Cariddi. Con questa crescita zero, infatti, non è tanto il 2,5-2,6% di disavanzo 2019 a preoccupare, quanto proprio i due scogli che ci aspettano l’anno prossimo”.
Quali scogli?
Se scatta l’Iva, andiamo sotto zero di crescita; se non si fa l’aumento dell’Iva, andiamo sopra il 3% di deficit e verso il 135% nel rapporto debito/Pil. Quindi l’Ocse non fa che confermare tutto questo, ma al di là dei singoli numeri e decimali, ormai c’è una convergenza quasi unanime: la crescita zero è il nodo che ci stringerà la gola nel 2020. Solo che per scioglierlo, il Governo deve spiegare come intende affrontare la questione già nel Def.
Dopo che il Governo per mesi ha negato l’evidenza di un’economia in stagnazione, nei giorni scorsi il ministro Tria ha riconosciuto che stiamo andando verso una crescita zero, aggiungendo però che la Commissione Ue non ci ha chiesto alcuna manovra correttiva. E’ davvero così?
Parlare di manovra correttiva è una stupidaggine.
Perché?
La Ue ce la può anche chiedere, ma visto che si avvicina la scadenza delle elezioni europee, probabilmente questa Commissione chiuderà un occhio. Il problema è un altro: è la manovrona necessaria l’anno prossimo. Parlare di correzione vuol dire cercare 6-7 miliardi in corso d’anno, ma la manovra per il 2020 parte già da 41 miliardi, e senza prendere alcuna iniziativa di politica economica: 23 miliardi di clausole di salvaguardia, 10 miliardi di costi in più, andando a regime sia reddito di cittadinanza che quota 100, perché i pensionati dell’anno prossimo si sommano a quelli del 2019; e almeno altri 8 miliardi in meno di entrate erariali, dato che la crescita non sarà come previsto all’inizio dell’1,5%, ma dello zero, massimo +0,1%. Si parte, insomma, con un handicap di 41 miliardi. Poi bisognerà fare le scelte di politica economica. Questo è il grande tema, non la manovrina di correzione.
Alla luce di queste cifre e visto che la scadenza di presentazione del Def si avvicina, che cosa dovrebbe fare il Governo, tenendo presente che con questi chiari di luna gli spazi di manovra non sembrano essere così ampi?
Se per spazi di manovra non ampi si intende che non si tocca niente dei 50 miliardi di spesa rubata e malversata e dei 100 miliardi di evasione fiscale, allora è ovvio che margini non ce ne sono. Se si dice che continueremo anche i prossimi due o tre anni a buttar via 50 miliardi di spesa rubata e malversata in specifiche voci – e sono cose che ripeto da almeno vent’anni – e a non realizzare una seria opera di recupero di quei 100 miliardi di evasione, allora non c’è un euro. Ma in queste condizioni l’economia italiana è condannata alla crescita zero e all’esplosione dei saldi di bilancio pubblico.
In concreto, che cosa bisognerebbe fare per aggredire queste voci di spesa?
Per esempio, varare un decreto in cui si stabilisce che dall’anno prossimo i fondi perduti in conto corrente e in conto capitale non verranno più erogati. Sono 40 miliardi, che si recuperano subito perché non vengono pagati. E poi, in merito al capitolo acquisti e forniture della Pa, bisogna fissare i budget, dicendo: l’anno prossimo, all’interno di ogni singola pubblica amministrazione, si potrà spendere per ciascuna voce di spesa per beni e servizi quello che si è speso nel 2010 più l’inflazione. In tal modo si risparmiano altri 20 miliardi.
Come si arriva a questo conto?
Questa voce di spesa in questi anni è aumentata del 179% contro un’inflazione cresciuta del 50%. Quindi, in termini reali, l’incremento è stato del 129%.
Ci sono altri capitoli su cui si può intervenire?
Gli 80 miliardi di tax expenditures: lì se ne possono tagliare 40.
Insomma, è possibile fare una manovra da 80-90 miliardi, simile a quella che varò il governo Amato nel 1992?
La proposta che EconomiaReale ha avanzato a novembre e ribadito a gennaio prevede sì una manovra pari al 4% del Pil, ma assai diversa nella composizione rispetto a quella adottata da Amato. Tre gli ambiti di intervento: tagli di sprechi e malversazioni nella spesa pubblica, recupero dell’evasione e revisione della giungla delle agevolazioni fiscali. Così si recuperano 80-90 miliardi, senza un euro in più di deficit, che si possono poi destinare per la crescita.
Lei come li utilizzerebbe?
Per la riforma dell’Irpef, per gli investimenti, almeno 20 miliardi, e per l’azzeramento dell’Irap. Così la crescita riparte. Se si fa invece come quest’anno, con una manovra complessiva che vale l’1% del totale della spesa pubblica, cioè lo 0,5% di Pil, non si va da nessuna parte, soprattutto se quello 0,5% è destinato a reddito di cittadinanza e quota 100 in parte molto minima rispetto alle stesse promesse elettorali dei Cinquestelle e della Lega. Con la manovra di quest’anno, irrisoria nelle quantità e pessima nella qualità, il risultato è quello che ci troviamo davanti: la crescita va a zero e i saldi di finanza pubblica saltano.
In settimana il Governo dovrebbe discutere il decreto sblocca-cantieri e il decreto crescita. Basteranno per invertire un po’ la rotta?
Basta con questi slogan. Lo sblocca-cantieri e il decreto crescita corrispondono a due tweet. Anche perché dovremmo chiederci: chi li ha bloccati i cantieri? Non ci ricordiamo già più tutto il dibattito sulla Torino-Lione di poche settimane fa? Siamo rimasti appesi sei mesi a quella chimera dell’analisi costi-benefici che nel mondo di scientifico non ha nulla…
Il Governo, a causa delle differenti visioni sullo sviluppo che hanno Lega e M5s, sulle ricette economiche è di fatto bloccato?
Ma anche i precedenti governi, negli ultimi sei o sette anni, erano bloccati su queste scelte. Il nodo di fondo, rispetto alla manovra con i tagli di spesa cui accennavo prima, è un nodo politico, perché su quegli 80 miliardi ci campano e sguazzano 5 milioni di italiani. E il loro potere politico, trasversale, da destra a sinistra, per ora è stato più forte del potere politico degli altri 55 milioni di italiani. Tagliare quelle voci significa mettere il dito in un canestro di vipere. Anche questo governo agisce per slogan e se guardiamo al contenuto di disegni di legge o decreti legge, non possiamo non pensare, parafrasandolo, al titolo di un famoso film: sotto il titolo niente. Il che vuol dire che il governo del cambiamento non ha cambiato un bel nulla.
Lo si vede, per esempio, dal fatto che il gap di crescita dell’Italia rispetto alla media Ue resta invariato: siamo sempre sotto di un punto percentuale…
Peggio, il gap sta aumentando.
In caso di Def edulcorato, in autunno saremo costretti a varare una manovra lacrime e sangue?
Con un Def edulcorato, ci arriviamo all’autunno? Io come cittadino spero di sì, però la domanda mi pare legittima. E soprattutto: in quali condizioni arriviamo in autunno? Nelle ultime settimane c’è chi ha festeggiato lo spread a 250, dimenticandosi che l’anno scorso era a 120, che in Portogallo sta a 130 e in Spagna a 90. E se lo spread va a 350? Questo è il pericolo: se scappa di mano, la manovra dovrà essere urgente e. allora sì, lacrime e sangue.
Potrebbe rendersi necessaria una patrimoniale?
Avendo l’Italia già la patrimoniale, la domanda è: su quali patrimoni? E a quanto potrebbe ammontare questa eventuale patrimoniale? Se tutto va bene, porta una decina di miliardi di gettito. Ma così – lo ripeto – non si va da nessuna parte. Se poi si volesse espropriare il patrimonio dei cittadini, non si farebbe altro che distruggere l’economia. Bisogna restare con i piedi per terra, ma anche con il cervello in funzione.
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