L’ultimo tratto di Forza Italia Nel partito c’è chi teme di restare nella bad company
Renzi fa il tifo per Parisi, e Parisi fa il tifo per Renzi. Non è un inciucio, piuttosto è una convergenza di interessi. Perché Renzi ha interesse che Parisi riesca a costruire un centrodestra capace di «contendere voti» ai Cinque Stelle, in modo da depotenziare il Movimento. E Parisi ha interesse che Renzi rimanga a Palazzo Chigi «fino al 2018», così da garantire il tempo necessario al fronte berlusconiano per ristrutturarsi. Certo, tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di incognite che gravano sui destini di chi vorrebbe continuare a fare il premier e di chi aspira a diventare candidato premier. L’esito del referendum costituzionale, la nuova legge elettorale, gli equilibri nelle rispettive aree politiche, sono variabili indipendenti. Però sulle regole d’ingaggio e la necessità di ridimensionare le forze populiste tra i due c’è sintonia. Sul resto si vedrà.
Chi lo sostiene
L’«Incaricato» è ancora ai piedi della montagna, anche se può farsi forza oggi del mandato che gli ha conferito l’ex premier e del sostegno che gli garantiscono la famiglia Berlusconi e i vertici aziendali del Biscione. È uno scudo che lo protegge dalla fronda interna a FI, un blocco che Matteoli aveva peraltro visto sgretolarsi già venerdì alla riunione del partito convocata ad Arcore, e dove l’ex ministro si era reso subito conto di esser rimasto (quasi) da solo sulle barricate. La scelta di Berlusconi ha spiazzato la dirigenza azzurra, e il terremoto stava per provocare immediati effetti dirompenti, se è vero che il governatore ligure Toti sarebbe stato sul punto di dimettersi da FI.
Avversari preoccupati
Il fatto è che mancava l’appiglio per un simile e clamoroso gesto, dato che Parisi non avrà incarichi di partito, non ne sarà il coordinatore. Ma proprio l’assenza di galloni, per paradosso, diventa una minaccia per tutti i suoi avversari, che vivono questa fase kafkiana con grande preoccupazione. Perché, per quanto l’incarico al manager non abbia contorni definiti, l’obiettivo è chiaro: l’area liberal-popolare a cui lavora non ha (né deve avere oggi) il profilo di un nuovo contenitore, però è evidente che in prospettiva rischia di trasformare Forza Italia in una bad company, dove Berlusconi lascerebbe la zavorra prima di lanciare la nuova coalizione. Una federazione.
«Bisogna federare», ha detto infatti il leader azzurro l’altra sera all’«Incaricato», evocando lo schema della vecchia Casa delle libertà. E siccome in quello schema l’area moderata era il perno dell’alleanza, ecco spiegata la reazione del capo del Carroccio, che vede messi a repentaglio la sua strategia e i suoi propositi di primato, indeboliti dal silenzioso quanto progressivo smarcamento della Meloni, a cui non sono piaciute certe uscite di Salvini.
Anche la Lega in subbuglio
Non c’è solo un pezzo di Forza Italia in subbuglio, insomma, anche il leader della Lega deve gestire le tensioni nel partito, testimoniate da Bossi e da Maroni, che ieri ha marcato la distanza dal suo segretario su Parisi, rilanciando quel «modello Lombardia» che comprende in maggioranza anche Ncd. Ora si capisce perché Alfano - nei suoi interventi pubblici - mentre ripete «mai con Salvini», aggiunge sempre che «ben diversa era la Lega di Bossi, capace di incidere sull’agenda politica e nell’azione di governo».
L’effetto domino innescato da Berlusconi ha rotto i vecchi equilibri, al punto che in Forza Italia Miccichè si è preso la briga di difendere il suo storico rivale, «Angelino»: «Il giorno in cui dovessimo chiudere un’alleanza con i centristi - ha detto a Libero - si porrebbe il problema della loro presenza nel governo di Renzi. Quelli del mio partito che il problema lo pongono ora, non mi convincono. Mi sembra una sciocchezza. Abbiamo bisogno del centro e della destra». È la «federazione» a cui mira Berlusconi, e l’«Incaricato» ha avuto già una funzione catartica, consentendo al Cavaliere di scardinare progetti vissuti come ostili.
Parisi oggi è il baricentro di un disegno voluto dalla famiglia e dall’azienda e assecondato dal fondatore del centrodestra, che ha seguito i consigli dei figli e degli amici di una vita e tuttavia nutre la speranza del riscatto giudiziario, coltivando ancora l’idea di prendersi una rivincita personale sulla scena politica. È un equilibrio che il tempo e gli eventi s’incaricheranno di verificare, tra le ambiguità sul referendum costituzionale e le aspirazioni di un manager che ha fatto il conto di quanti - prima di lui - sono stati incaricati e poi scaricati.
Al momento ci sono solo un comunicato di Berlusconi, l’idea di una Conferenza programmatica di Parisi e i movimenti tellurici in Forza Italia e nella Lega. Non è poco, visto lo stato comatoso in cui versava il centrodestra.
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